1999 Ottobre 22 Andreotti uno & due

1999 Ottobre 22 – Andreotti uno & due

Lo chiamavano “La Scala del calcio”, e fu proprio lo stadio di San Siro la mia prima volta da
giornalista, la mia prima partita, timidamente, con tanto di firma. Arrivai in tribuna stampa con due
ore di anticipo, occupai il posto numero 34 e cominciai a prendere nota anche degli starnuti. Poco
prima dell’inizio, venne a sedersi sul posto accanto al mio un vecchio giornalista romano, famoso
per le statistiche e per i raffronti storici. Io conoscevo lui, lui non me ovviamente: da pivellino, mi
alzai deciso e mi presentai. Forse apprezzò, non so, sta di fatto che mi mise subito a parte di un suo
“segreto”, così lo chiamò, estraendolo dalla tasca del paltò scuro. “Vedi – mi bisbigliò paternamente
– i giornalisti sono imprevidenti. Dopo la partita corrono come pazzi a scrivere, senza aver il tempo
di pensare. Io invece, ad ogni partita, vengo con due resoconti già scritti in anticipo a casa: uno in
caso di vittoria della squadra che seguo, uno in caso di sconfitta. Al fischio finale, aggiungo qualche
nome, qualche azione, qualche particolare e detto il pezzo. Sono sempre il primo, il più veloce”.
E se pareggiano?, provai a imbarazzarlo senza permettermi di obiettare: “Un gioco da ragazzi – mi
rispose – prendo un po’ dalla prima un po’ dalla seconda versione”.
Ho ripensato a lui quando la camera di consiglio per la sentenza di Palermo ha superato le 230 ore
filate; e allora ho commentato l’assoluzione e la condanna di Giulio Andreotti prima di sapere come
sarebbe andata a finire: pressappoco come andare a San Siro con due commenti già nella tasca del
paltò.
Eccoli.
Prima ipotesi: Andreotti assolto.
Giulio Andreotti non è un assassino (Perugia) né un padrino (Palermo). Era già stato assolto dal
Papa e da Montanelli, dalla Curia e da Cossiga, dalla Rai e da Mediaset, da Vespa, da Chiambretti,
da Berlusconi e da Comunione e Liberazione, dal Polo e dall’Ulivo, dal Ppi e dal Ccd, dai salotti e
dalle borgate, dai sondaggi e dagli storici. Lo ha assolto soprattutto il presunto bacio a Riina:
talmente impensabile da inficiare ogni altro addebito. Oggi Andreotti risulta essere il politico più
indagato e più assolto d’Italia. Non è scappato in una qualche Hammamet, ha scelto di restare un
imputato qualunque, rifiutando la solidarietà pelosa all’insegna del teorema: “Assolto Andreotti,
assolti tutti”. Le sentenze dei tribunali della Repubblica Seconda certificano che non fu il Belzebù
della Prima. Assente dagli elenchi della Cia, della P2 e del Kgb; mai sfiorato da Tangentopoli;
liberato dai ministri mafiosi, sette volte Presidente del Consiglio viene riconsegnato dalla giustizia
alla politica: come nuovo, anzi migliore, con il bollino di garanzia. Né reati, né sospetti,
un’assoluzione alla carriera.
Seconda ipotesi: Andreotti condannato.
Giulio Andreotti non è un assassino (Perugia), è un padrino (Palermo). Era già stato assolto dal Papa
e da Montanelli, dalla Curia e da Cossiga, dalla Rai e da Mediaset, da Vespa, da Chiambretti, da
Berlusconi e da Comunione e Liberazione, dal Polo, e dall’Ulivo, dal Ppi e dal Ccd, dai salotti e
dalle borgate, dai sondaggi e dagli storici, ma lo ha condannato il bacio a Riina: talmente infame da
accreditare ogni altra accusa. Oggi Andreotti risulta essere il politico più doppio della storia d’Italia,
dall’Unità al Giubileo. Rinunciando per calcolo a rifugiarsi in una qualche Hammamet. Ha recitato
giorno per giorno la parte dell’imputato qualunque, anche a costo di rifiutare pubblicamente la
solidarietà pelosa e interessata all’insegna del teorema: “Condannato Andreotti, condannati tutti”. La
sentenza del tribunale della Repubblica Seconda certifica ufficialmente che fu il Belzebù della
Prima. Assente dagli elenchi della Cia, della P2 e del Kgb; mai sfiorato da Tangentopoli ma
schiacciato dall’evidenza processuale dei suoi misteri mafiosi, il sette volte presidente del Consiglio
viene consegnato dalla politica alla giustizia. Tra reati e sospetti, una condanna alla carriera.
Non è poi così difficile; aveva ragione quel mio vecchio collega di San Siro! Ma forse, di fronte al
caso Andreotti, vale in ogni caso una delle mitiche battute di Charlie Brown: “Come può una
persona decidere cosa deve pensare?”.
Mentre scrivo, sono le 19 di venerdì. Deciderò domani cosa pensare.