1998 luglio 28 Divorzio a Nordest

1998 luglio 28 – Divorzio a Nordest
C’era una volta il «movimento del Nordest» di Massimo Cacciari e di Mario Carraro. La strana coppia
veneta, il filosofo che scava Heidegger e l’industriale che produce i migliori assali per trattori, si è
squagliata nell’afa proprio alla vigilia della costituente del neonato soggetto politico. Resta il marchio,
forse il suo clone, non più la cosa immaginata a due mani, «una novità nazionale non una sigla in più»,
era la promessa. Per quanto originale, la coppia sembrava sulla carta bene assortita. Cacciari:
l’intellettuale fatto sindaco, la cultura marxista che si immerge nell’amministrazione fino a elaborarla
come il nucleo della politica nuova. Carraro: l’imprenditore che giudica nuova soltanto la politica in
grado di rispondere ai quiz del mondo globale. Il sindaco e l’imprenditore, prototipi delle forze che
hanno fatto la storia del «laboratorio Nordest» negli anni novanta. I sindaci per la domanda trasversale
di responsabilità, poteri e risorse sul territorio; gli imprenditori per la richiesta generalizzata di
modernizzazione. Sullo sfondo, comune a entrambi i ceti, la riforma radicale dello Stato, radicale come
il federalismo preteso da Carraro quanto da Cacciari. Una coppia complementare, dunque, nonostante
stili, storie, metodi molto diversi. Cacciari viene dalla politica militante, Carraro vi ha messo piede per
«servizio civile» alternativo all’impresa. Carraro è più organizzato, Cacciari più movimentista. Il primo
immaginava un movimento-partito, il secondo un arcipelago di movimenti capace di sfidare le
tradizionali inconciliabilità fino a tenere assieme i giovani dei centri sociali con i protoleghisti della
Liga veneta. È facile descrivere la strana coppia, più difficile spiegare perché sia fallita. Recentemente,
al «Sole-24 Ore», Cacciari aveva detto: «Tra me e Carraro c’è un accordo culturale profondo, direi
quasi antropologico». E allora, perché? I promessi sposi del nascente movimento si sono scambiati in
questi giorni lettere rese pubbliche dal «Mattino» di Padova. Cacciari ha paventato una sorta di partito-
azienda, «dove comanda chi detiene il pacchetto di maggioranza». Carraro ha fiutato «tra gli aderenti
l’ambiguo insorgere di simpatie personali, foglia di fico per ambizioni politiche di piccolo cabotaggio».
Ma la questione è meno personale e più di fondo. O, meglio, si personalizza perché insidiata da un
virus che sembra colpire il Nordest da quando, archiviata la lunga pax dorotea, quest’area ha provato a
farsi avanposto di ogni riforma e di ogni pulsione, dal leghismo al Life, dai «serenissimi» del
campanile ai cobas del latte, dai padroncini ruspanti fino alla domanda di statuto speciale per la
Regione Veneto. Nemmeno il progetto di Cacciari e Carraro, messo in campo per dare respiro
all’ingorgo di quest’area, ha resistito al virus della parcellizzazione. Il Nordest, più avverte l’urgenza di
un patto, di una lobby, di una metafora «catalana» proprio per ricondurre a unità i suoi istinti
stromboliani, più atomizza l’offerta politica. Non gli basta nemmeno il cemento della polemica contro
il vetero-centralismo delle «potenze romane», come le definisce Cacciari, per superare la tentazione del
ciascuno per sé, nessuno per tutti. Il policentrismo appare, allo stesso tempo, motore e freno del
Nordest. Motore economico del capitalismo a grappolo; freno politico della spinta a cambiare. In
fondo, non è una novità, ma oggi provoca un vuoto senza precedenti, una fase di riflusso e di
smarrimento, di astensionismo di massa e di delocalizzazione rispetto alle speranze. Fors’anche la
perdita di un ruolo che, tra cento contraddizioni e fughe in avanti, il Nordest si era pur conquistato sui
temi dell’autonomia, dell’efficienza, del federalismo possibile contro l’angelo nero del separatismo.
Carraro ritorna in azienda, Cacciari in municipio a Venezia. Più difficile leggere la direzione di un
Nordest così promettente e così deludente.
28 luglio 1998