1998 agosto Ulisse2000 Verona

1998 Agosto

Ulisse2000

Verona: La città “teatro”

È Verona,dove gli stili e la musica presentano una storia lunga duemila anni.

Romeo: < I have a night’s cloak...ho il mantello della notte per celarmi...se tu m’ami non mi importa che mi scoprano>.
Giulietta: < By whose direction...e chi ha saputo guidarti fino a qui?>.
Romeo:< By love... è stato amore che per primo ha guidato i miei passi. M’ha prestato il suo consiglio e io gli ho prestato gli occhi >.
Giulietta < Tu sai che la maschera della notte è il mio volto, ché altrimenti un rossore verginale dipingerebbe le mie gote per quel che tu m’hai udito dire stanotte > .

Non so se il vero signore di Verona sia Cangrande della Scala o Shakespeare, se la città sia più
rappresentata dall’Arena romana o della “casa di Giulietta”, ma so che “Romeo e Juliet” hanno fatto
di Verona il luogo santo dell’amore. Da anni, ogni anno, qui giungono da tutto il mondo nelle
lingue più impensate tra le quattromila e le cinquemila lettere indirizzate a lei. Dear Giulietta,
Verona, Italy…Il “Club Giulietta” risponde a tutte e le archivia. Ne ho lette qualcuna. “ Cara illustre
amica, sogno di essere sul tuo balcone, di far parte anche per un solo momento di questa tragedia”.
“Cara Giulietta, affacciati di nuovo e canta una melodia d’amore”. “ Sai, Giulietta, anch’io ho
parlato alla luna del mio primo ma vero amore”. Ancora un’altra : “Cara Giulietta, ho sempre
aspettato il principe azzurro, l’ho incontrato. Se mi lasciasse, lo seguirei perché lui è un principe e
un principe non si può sostituire”.

Soltanto l’Arena regge il confronto. Almeno un milione e mezzo di persone visitano ogni anno casa
e tomba di Giulietta, e poco importa che il suo balcone e il suo sarcofago siano verosimili, ma non
veri. Nei simboli come nei miti, il falso e il vero si calamitano l’un l’altro, oltre l’apparenza, per
voglia ingenua di favola e di sogno.

No, non credo affatto che si tratti di kitsch storico. A due passi da piazza delle Erbe, frotte di
ragazzi cercano la “casa di Giulietta” e lasciano la firma lungo le pareti del sottoportico. Mai visto
tanti colori, ricami, scritte, dediche, intrecci, firme a coppia, infiniti Romei e Giuliette, tenui graffiti
su un muro che allo stesso tempo dell’amore, dello spleen e dei sospiri, dove la levità del gesto
supera di gran lunga l’affetto dei tour operators. Più del turismo, decide Shakespeare nello
scandagliare, come Dante e Goethe, le profondità, le passioni, il pozzo ultimo delle emozioni, vita e
morte oltre la letteratura e i dépliant a colori delle aziende di soggiorno. È curioso che Verona,
artisticamente così vera, immenso catalogo a cielo aperto, si faccia cercare ogni giorno per una
storia d’amore tutta dentro leggenda. Forse, l’amore contrastato resta eterno archetipo del desiderio
perché vado ogni costo oltre. Oltre i Montecchi e i Capuleti del vivere, oltre le divisioni, le famiglie,
le classi, gli ostacoli e le inimicizie, oltre l’odio, oltre le separazioni e gli interessi, tanto che Romeo
e Giulietta oggi potrebbero benissimo alludere ad altre barriere, di etnia, di razza, di religione, di
culture, di veleni e pugnali di altri destini incrociati. Se guardano a quel balcone, se accarezzano
fino consumare il seno e la mano di una Giulietta in bronzo, è probabile che milioni di ragazzi
perpetuino un’aura, un’allusione, un segnale, che Shakespeare ha lasciato per sempre in dote a
Verona. Noi possiamo anche sorridere del loro itinerario, ma saranno loro a non capire noi.

È bellissima Verona. Soltanto il superlativo la può sintetizzare. Una quarantina d’anni fa, ai tempi
del suo Viaggio in Italia, uno scrittore raffinato come Guido Piovene annotò: “ per varietà di stili,

tempo. Come disfare

tracce, segni,

lentamente un gomitolo di

nessuno dei quali prevale, Verona non ha pari tra le città italiane se si eccettua Roma”. E il prof.
Bruno Visentini, politico e uomo di cultura, che amava la wagneriana Bayreuth come la sua
“gioiosa et amorosa” Treviso, ha riconosciuto: “A parte Venezia, Verona e Mantova sono
certamente le più belle città dell’Italia settentrionale”.

Guardare Verona è assistere ad un kolossal storico, un film a spasso con il tempo senza bisogno di
macchine del
incroci,
sovrapposizioni. La contaminazione del remoto con il moderno genera alla fine un tempo per così
dire sospeso, senza data. Basti visitare il Duomo, autentico campionario di romanico e gotico, senza
contare le chiese proto-cristiane portate alla luce a ridosso della basilica.
Verona è un emporio di mura, la sola città che le conservi tutte intatte, le romane, le scaligere, le
viscontee, le venete, le austriache. Ciò contribuisce non poco a farne una città di scorci, pronti a
sorprenderti quando meno te lo aspetti.
Il vero “teatro” di Verona non è il Teatro Romano o l’anfiteatro dell’Arena, ma Verona stessa, la
città in sé, che si mette in scena con torri, ponti, campanili, arche, merli, mura, porte, castelli,
palazzi, piazze, l’architettura che si fa natura e s’impasta agli slarghi dell’Adige e alle colline a un
passo.
Con Tintoretto e Tiziano uno dei tre giganti della pittura rinascimentale, Paolo Veronese nel
trasferirsi a Venezia deve aver portato da Verona la luce i colori. L’hanno chiamata “la città delle
pietre” e dei marmi, presi dalle sue cave prealpine, bianchi e rossi come i colori del primo Comune
e degli Scaligeri, ma forse Verona è soprattutto la città della luce, del grande respiro. Il respiro di
piazza della Bra, dove “bra” sta a sua volta per piazza, una piazza della piazza, quasi a rafforzare il
senso dello spazio aperto,la messa in scena della vita civile, dove i veronesi si incontrano e
incontrano il mondo.
Come in tutte le città che fanno pensare ad ogni metro, per “vedere” Verona servono un occhio
allenato al bello e alla memoria. L’intimità urbana è un suo segreto, che si gusta ad esempio tra i
vicoli di quartiere medievale della “caréga”, dialetto di sedia, che fu un luogo artigiano, le stesse
botteghe del Trecento veneziano e lombardo. Un ottimo restauro ne ha conservato la pianta mentale
se non l’anima economica.
Verona si moltiplica, promette innumerevoli percorsi, è una cattedra di Estetica. Inevitabile l’Arena,
conservata molto bene, seconda soltanto il Colosseo, da ottant’anni tempio vivente di Aida e
Nabucco, di Tosca e Rigoletto, festa permanente del bel canto e della scenografia lirica.

Altrettanto inevitabile San Zeno, che si consegna con il silenzio e lo stupore di una religiosità
antica, in grado di svelare il nostro sottosuolo cristiano, ben oltre il credere o non credere di
ciascuno di noi. Le chiese di Verona, Sant’Anastasia, San Fermo…, ovvero il meraviglioso
dell’anima, una fusione qui specialmente rara di arte spiritualità e storia civile. Nonostante i
capolavori di Mantegna, Tiziano, Pisanello, queste chiese misurano qualcosa di ulteriore, di più
misteriosamente puro della pittura: l’architettura che spiega gli stili alla suggestione. Uscendo da
certe chiese, come queste di Verona, ho sempre avvertito la sensazione di tornare al mondo da un
viaggio inesprimibile.
È allegra Verona, come le sue piazze, i mercati, il suo gusto veneziano della chiacchera. È popolare,
le sue librerie sono piene di titoli che recuperano il dialetto, i proverbi, le tradizioni, una
gastronomia da leccarsi i baffi. Il suo Nord è subito l’Europa. Il suo lago, il Garda, è poetico.
Verona incrociala Lombardia con il Nordest, ponte economico dell’Euro quanto i suoi ponti romani.
Porta su di sé le stimmate di città militare perché strategica, ora bastione, ora “quadrilatero”, ora
fortezza. In Piazza Bra, Giuseppe Garibaldi gridò: “O Roma o morte”, alla vigilia dell’Unità
d’Italia. A Castelvecchio, reinventato come museo dal genio di Carlo Scarpa, il fascismo processò
se stesso con un tocco shakespeariano: Mussolini che manda a morte il genero contro Ciano.

L’ultima volta ho guardato Verona dalla balconata dei colli, appena sopra la città dell’Adige, nata
su un’ansa del suo fiume nervoso. Non era un panorama, né un paesaggio. Qualcosa di più: l’urbs
come prova di una civiltà che ha camminato duemila anni. Uomini e pietre.