1984 settembre 17 Il «panzer» travolge il «niño de oro»

1984 settembre 17 – Il «panzer» travolge il «niño de oro»
VERONA – Il campionato superstar è cominciato nel Veneto con quarantamila spettatori, seicento
milioni d’incasso e tre gol del Verona. Se il buon giorno si vede dal mattino, qui il football da
spettacolo non avrà nulla da temere. Si sono divertiti tutti e molto, compreso Saverio Garonzi che ho
visto prendersi il suo biglietto d’ingresso da sessantamila lire perché, nonostante dodici anni di
presidenza, non gli hanno lasciato ad honorem nemmeno un cuscino. Le Spa del pallone risparmiano
poco, fuorchè sui ricordi.
A Verona c’era il Napoli, lo sapete. Che non è più il solito Napoli da quando si prese lo sfizio di
comprare il più costoso e il più giovane degli Assi del Mondo, Diego Armando Maradona, ex
scugnizzo di Buenos Aires con le pezze sul sedere che oggi si presenta con pezze d’appoggio in soli
dollari agli sportelli delle migliori banche del jet-set. Napoli può ancora perdere le partite, magari di
brutto come ieri, ma almeno si sente «milionaria». Le finzioni aiutano a campare, il calcio è recita e
l’altra sera Giorgio Albertazzi ha chiamato il teatro la più sublime delle ipocresie.
I napoletani sono gli ultimi esteti del pallone. Erano in tanti a Verona, e sono stati capaci di sollazzarsi
per nulla. Bastava loro una finta di Maradona, un accenno di dribbling, un frullare di riccioli, una
carezza di suola perché scattassero in piedi a migliaia, loggione che si consola con la cavatina, il pezzo
di bravura, il «numero» o soltanto la mossetta da foca ammaestrata per lenire i gol presi, i punti persi,
la trasferta inutile, il sospetto che nemmeno Maradona sarà San Gennaro. Se perdono con il collettivo,
se la cavano con il gesto. L’organizzazione, la tattica, il managerismo, la Juve che prende modello dalla
botti e i fumi di uno stadio. La gente di Portici aveva steso il suo gran striscione: «Diego non resterai
mai solo, Napoli ti ama». Quando si ama, si può anche perdere e sognare la prossima volta.
Lui, Maradona, era entrato in campo lisciando le tomaie sull’erba, con la dolcezza di un felino. Prima
del primo calcio al pallone si era anche fatto il segno della croce, forse intuendo che nel giro di due
passi appena gli sarebbe parato di fronte il suo marcatore, Hans Peter Briegel, tedesco di Rodenbach,
un riccibiondi che a forza di portarsi dietro il fisico di muscoli e ossa corre goffo, con la fatica di chi un
invoca un callifugo.
Briegel e Maradona hanno giocato una partita anche esclusiva, mai tanto didascalica nei simboli.
Sigfrido e il «niño de oro», il panzer e il guitto, «uber alles» e Las Malvinas, Sturmtruppen e asado,
Foresta Nera e pampa, il gigante e il folletto. In tribuna li guardava Omar Sivori, che tra gli anni ’50 e
’60 fu inarrivabile fantasista del gol: nessuno ha mai creduto in Maradona quanto Sivori, ma ieri ho
visto Omar arrendersi all’evidenza, quel Briegel era un cingolato che passava al suo giardino.
Qualcuno diffida degli stranieri, sostenendo che sono dannosi per il calcio degli italiani. E’ una
concezione autarchica, che sa di muffa e che continua a confondere tra il calcio-sport e il calcio-
spettacolo. Quest’ultimo è ormai un’altra cosa, i suoi presidenti sono degli impresari, il campionato
assomiglia più a un festival bar che alla vecchia «divisione nazionale serie A» d’altri lontanissimi
tempi tanto che la Lega potrebbe essere guidata tranquillamente da Salvetti invece che da Matarrese.

E’ vero, gli assi stranieri sono i lecca-lecca dei giornali, però una ragione esiste ed è per così dire
semantica, classe a parte suonano meglio, come certi cantanti nostrani che per sfondare debbono

ribattezzare il nome in inglese. Ve l’immaginate un titolone cubitale come questo: tutta Verona per la
sfida Bruscolotti-Bruni? Con tutto il rispetto, non regge.

Il Grande Calcio sta diventando un’industria così complicata che si porta dietro anche le paure
dell’industrializzazione, con certi «boys» militarizzati e con le forze dell’ordine oramai abituate a
preparare la partita come una manifestazione sovversiva. Anche a Verona quattro accoltellati non sono
mancati nonostante che caselli d’autostrada, stazione ferroviaria e punti di raccordo fossero presidiati
fina dal mattino.

Le feste di massa pagano quasi sempre un prezzo. Stare assieme è un’arte difficile.

settembre 1984