1984 luglio 07 Un po’ di coerenza per Venezia

1984 luglio 07 – Un po’ di coerenza per Venezia
Dc e Psi sulla stessa linea
Piazzale Roma era pieno di sole, di turisti e di bus mentre l’aria condizionata del Park Hotel ospitava,
ieri a mezzogiorno, le conferenze stampa della Democrazia cristiana e del Partito socialista sulla
«salvaguardia e lo sviluppo» di Venezia. Dc e Psi avevano scelto stesso giorno, stesso posto, quasi la
stessa ora, per proporre esattamente la stessa politica a proposito della città più bella e tormentata del
mondo.
Niente di singolare beninteso, non fosse che nell’amministrare Venezia il Psi sta nella maggioranza, la
Dc nell’opposizione. Come dire che sul problema vitale della città, problema veneziano veneto italiano
e mondiale, veniva ribadito con il puntiglio un aut aut senza scappatoie di comodo: se per Venezia fu
necessaria una legge «speciale», a maggior ragione è urgente un’intesa «speciale», cioè un accordo
istituzionale capace di mettere a tacere gli interessi di gruppo.
Occorrevano due conferenze stampa per ricordare un concetto tanto ovvio? Sì, ci volevano perché negli
ultimissimi giorni Venezia ha assistito prima perplessa, poi preoccupata al rilancio della logica di
partito con il risultato, nemmeno tanto strisciante anzi molto palese, di rimettere tutto in discussione. A
cominciare dallo storico ordine del giorno approvato, non chissà quanti anni fa, ma il 22 giugno scorso
dal consiglio comunale.
Quel giorno, dopo faticosi ed estenuanti compromessi, fu raggiunta l’unanimità, dal Pci fino al Msi, sul
disegno di legge redatto dal ministero dei Lavori pubblici. Il Governo veniva invitato ad approvarlo
«sollecitamente», il Parlamento «rapidamente», anche perché, sui 2500-3000 miliardi di intervento
complessivo, 600 sono già stati stanziati per il 1984, ’85 e ’86. I soldi ci sarebbero, basta volerli e
saperli spendere.
A dire il vero, l’accordo approvato all’unanimità dimostrava di sapere benissimo come spendere quei
primi preziosi miliardi, lavorando su tre linee parallele. Il cosiddetto «progettone» per difendere
Venezia dall’acqua alta attraverso sbarramenti fissi e mobili alle tre bocche lagunari; il restauro
dell’edilizia monumentale e residenziale; il rilancio delle attività economiche.
L’ultimo dei tre obbiettivi rivelava la filosofia dell’intera operazione: una Venezia totale, un essere
città nella pienezza delle opzioni aldifuori delle poetiche contrapposizioni di questi anni tra città
turistica o produttiva, città viva o museo, città creatrice o vetrina, città integrata o monoclasse. In
un’impresa immensa e sublime come quella di perpetuare Venezia, ogni progetto è perfettibile, ogni
intesa va verificata, ogni tentazione a semplificare va guardata con sospetto, ma quell’idea, quel
disegno di legge, quel voto unanime di uno dei consigli comunali storicamente più conflittuali d’Italia
avevano senza dubbio il pregio di aver detto basta.
Basta a dieci anni di discussioni e di marea cartacea. Basta all’inerzia. Basta all’incoerenza perché,
mentre da un lato si lanciavano funerei allarmi sulla Venezia che muore, dall’altro si continuava
imperterriti nella politica del rinvio. Venezia pagava un’urgenza a senso unico; si dava molto alla svelta
la diagnosi, si restava immobili sulla terapia.
L’unanimità di quel disegno di legge era storica perché superava i distinguo e cominciava a battere
cassa, passando alla progettazione e mediando le due grandi anime del futuro di Venezia, la

conversazione e lo sviluppo, l’insieme di una città del tempo, non aliena ad esso, una città speciale ma
una città.
Qualcosa ha rotto in queste ultime settimane l’unanimità di giugno e il clima anti-frazionistico di quella
scelta, portando il Partito repubblicano e il Partito comunista a ripristinare progetti autonomi. Pur tra
allusioni e ambiguità, l’effetto per niente bizantino è stato di ridare incertezza a tutta l’iniziativa su
Venezia, con il rischio di arrivare troppo tardi a finanziamenti già stanziati dal Governo e soprattutto di
vanificare un doppio risultato psicologico e politico: di cominciare a fare e di cominciare a fare
assieme.
Con gli interventi di ieri, Democrazia cristiana e Partito socialista hanno rilanciato quella proposta nel
modo più tempestivo possibile dato che proprio oggi Venezia è all’ordine del giorno della
Commissione parlamentare dei Lavori pubblici. Ma, aldilà delle scadenze immediate, la posta in palio è
molto più importante: si tratta di non archiviare ancora una volta le aspettative di una città che non è
soltanto il capoluogo del Veneto ma patrimonio nazionale.
Se un mese fa ci fu un voto unanime e se una franca verifica ha dato strategia al governo Craxi, deve
esserci lo spazio per far rispettare l’accordo che c’è già! Venezia non chiede molto; appena un po’ di
coerenza.

luglio 1984