1984 dicembre 25 La strage sul rapido Napoli – Milano

1984 dicembre 25 – La strage sul rapido Napoli-Milano

L’Italia porta il lutto a Natale. Conta morti, feriti e strenne. Fa festa con il magone.
Raymond Aron avrebbe voluto dedicare l’ultimo libro della sua vita al ruolo della stupidità nella storia.
Ma questa violenza di sottosuolo, che massacra nella oscurità di un tunnel, non è stupida, né folle, sa
ciò che desidera.
Si tenta di istituzionalizzare l’emergenza, di farla durare come una costante della Repubblica.
L’irrazionale della bomba al servizio di un disegno.
Nel Mare Mediterraneo del terrorismo e a quattro mesi dalle elezioni ogni movente trova padrini, ogni
fanatico é un killer reclutabile persino quando gli offrono un Papa sul mirino. Internazionale o interna
che sia la pista, di qualunque colore sia il timer, l’obbiettivo è depistare la democrazia, piegarla,
renderla mansueta per orrore ben sapendo – come sapeva Cesare Pavese – che «la bontà che nasce dalla
stanchezza di soffrire è un orrore peggio che la sofferenza».
Il terrorismo delle bombe è senza pentiti, impenetrabile, nella peggiore delle ipotesi assolto per
insufficienza di prove. La sua mano è più omertosa della mafia, più segreta dei servizi segreti. Maciulla
povera gente con il distacco di chi è interessato soltanto all’onda di reazione; usa la morte come
sondaggio d’opinione. Una mano che ci sa fare.
Il nuovo Italicus riporta l’Italia indietro di anni, squarciando un grande lembo di fiducia. E la strage
poteva essere più strage, anzi doveva essere la sublimazione delle stragi: in quel budello interminabile e
mal ossigenato, con il possibile incendio, il probabile deragliamento e il plausibile incrocio tra i due
treni, bomba è stata persino clemente. Chi l’ha posta, sperava meglio, ha provato delusione, nemmeno
questo sangue gli basta.
Dal 1969 ad oggi, la cronaca delle bombe non è mai passata in giudicato, le sue strutture evaporano nel
mistero, e i misteri innescano altri timer. Cambiando le maggioranze politiche, mutano le leadership di
Governo, non tace il terrorismo nonostante le frettolose dichiarazioni di morte presunta. Il suo letargo è
finito.
Chi ammoniva a non abbassare la guardia, chi leggeva negli ambigui segni di episodi apparentemente
minori, non è stato preso abbastanza alla lettera. Tutti ci siamo illusi di aver a che fare con un passato
remoto; il Rapido 904 Napoli-Milano dimostra che il terrorismo resta un presente storico.
Il conto è più che mai aperto anche perché il nostro Paese parcheggia terrorismo e gli consente il
transito. Siamo spesso una terra di nessuno per faide, minacce, rese dei conti internazionali. Commando
e servizi segreti stranieri trovano qui margini di libertà, basi, manovalanza potendo contare su quella
che fu chiamata la «schizofrenia» della sovversione all’italiana, basata sul disprezzo per tutto ciò che è
graduale, riformista, faticosamente progressivo in una democrazia basata sul pragmatismo. Le bombe
non amano l’arte del possibile né la sua tenacia.
Il treno a pezzi nella galleria di Val di Sambro suona l’allarme per l’intera classe politica in un
momento di radicalizzazione tra i corpi sociali e mentre, come lamenta l’ultimo rapporto sullo stato del
Paese, si registra una «preoccupante accumulazione di tensione politica verso l’alto». La bomba ha

scelto il tempo della ripresa e delle inquietudini, delle divisioni e dei richiami all’efficienza. Il suo
scoppio è una sfida che conta sugli snodi deboli dell’avversario da intimidire.
Noi oggi siamo con il giornale in edicola e a Natale non era mai accaduto. Lo consideriamo un dovere
non una facoltà, un lavoro di servizio non una benemerenza, una presenza che ci fa sentire più cittadini
che giornalisti o, meglio, uomini senza ulteriori aggettivi.
Nessuno può espropriarci del nostro Natale, neppure la strage degli innocenti. Anche se è esplosa per
demoralizzare, la bomba produce l’effetto non secondario di restituirci integrale doppia l’indignazione:
verso chi colloca il titolo e verso chi non bonifica abbastanza il suo terreno di coltura.
Nemmeno Natale può perdonare.

25 dicembre 1984