1970 gennaio 7 Riva mai così in forma

1970 gennaio 7 (Il Gazzettino)

Riva mai così in forma
Attualità di Viani

Un anno fa, alle 15 di un mercoledì intristito da pioggia velata, eravamo in molti (ma non tutti) a
Nervesa della Battaglia: per l’addio a Gipo Viani. In un affettuoso « ricordo di Viani » scritto ieri,
Giulio C. Turrini chiudeva il pezzo con questa frase: «… e così il caro vecchio amico c’è ancora, da
una parte o dall’altra, non saprei dire esattamente dove ». Io credo si possa dire invece dov’è Gipo
Viani, un anno dopo quel malinconico pomeriggio.

L’indimenticabile amico è « nell’attualità ». Non nella storia ma nella cronaca del campionato.
Perchè il vecchio Gipo possedeva la qualità rara del protagonista: quella in « indovinare » il futuro;
quella di capire dieci anni prima ciò che molti (finti) « grandi » copiavano dieci anni dopo. Il
ricordo del Gipo non come fatto sentimentale: i vuoti d’amicizia e di stima restano vuoti, sempre. Il
ricordo piuttosto come testimonianza alle idee di Viani, alla sua intelligenza.

Helenio Herrera ha ottenuto un contratto di 210 milioni all’anno. Gli ingaggi sono in piena
sclerosi: « Dobbiamo fermarci subito – ammoniva il Gipo – prima che sia troppo tardi. Non si tratta
soltanto di un fatto sociale, di malcostume, ma di fatto organizzativo: salute oppure malattia del
nostro calcio ». Lo diceva nel ’60, non oggi. I passivi di gestione crescono, con fatalità: una squadra
come il Vicenza arriva ai 120 milioni, il Padova ai 70. Prima, molto prima, che nascessero le Spa, il
Gipo sosteneva: « Una società di calcio non deve essere per forza passiva! Deve essere
amministrata come un’azienda normale, minimo il pareggio. Perciò il presidente del Milan o
dell’Inter potrebbe farlo anche un impiegato delle ferrovie: il mecenatismo è un lusso ». Non era
teoria: come direttore generale del Milan, per nove anni, il pareggio di bilancio fu quasi la sua
religione. Perciò molti giocatori lo consideravano una specie di « negriero » per conto terzi (la
Società).

A Salerno, una ventina d’anni fa, inventò il battitore libero. Ma fu anche il primo a combattere
l’estremismo anti-spettacolare del catenaccio: « Bisogna inventare qualcosa di nuovo, prima che il
pubblico si stanchi di noi e cominci a chiedersi: ma a che servono ‘sti tecnici? ». Gipo Viani dominò
per lunghi anni il mercato del Gallia Hotel: il « giro » dei giocatori come « merce », come la
ripetizione di un mercato di vitelli selezionati. Ma batté ostinato fino all’ultima esperienza
(l’Udinese) sull’incudine del vivaio; della « materia, prima » da tirar fuori in casa, con pazienza e
competenza. Non un vivaio qualsiasi, ma « integrato ». Il Gipo spiegava: « Non possiamo far
crescere a Milano o Torino ragazzini di 14 anni portati via da Trieste o Castelfranco. Dovremmo
tenerli come in caserma, lontano dal loro ambiente, dalla loro famiglia: un rischio grosso, in tutti i
sensi. Anche il grande Club deve decentrare: creare i vivai, sul posto, crescendo i ragazzi a casa
loro ». Concetto applicato al Bologna.

Ciò che ha significato Gipo Viani per il calcio italiano l’hanno sempre saputo tutti. Ma forse
pochi sospettavano che il vecchio indimenticabile Gipo sarebbe rimasto intatto, moderno, più vivo e
utile che mai anche da morto. L’ultima frase che gli sentii dire, il giorno di Natale, fu questa: « Sono
in forma splendida! Qualcuno pensa che sia finito e vecchio, ma per fortuna non mi sono ancora
bevuto il cervello ». La sua duratura specialità era proprio il cervello, di una contestata ma esplosiva
umanità.