1999 Ottobre 6 I nostri stracci

1999 Ottobre 6 – I nostri stracci

Premessa: mi dichiaro uno dei tanti che si fidano della Caritas. Da laico reo confesso, se debbo
destinare cento lire a scopo umanitario, preferisco la Caritas alle prefetture. Lo so che è brutto
diffidare dello Stato ( “lo Stato siamo noi”) ma, almeno per ora, non so che farci.
Detto questo, nemmeno la Caritas mi ha convinto sulla storia delle camionate di vestiario
scaraventato qua e là, dove capita capita. Ciò non vuol dire che c’entri in qualche modo con le
porcherie di turno e con gli affaracci; anzi, la Caritas è probabilmente vittima, nel senso che il
mercato degli stracci potrebbe essere interessato a sputtanare per boicottare la sua raccolta.
No; chi si fida della Caritas ci è rimasto un po’ male per un’altra ragione, molto più intima. Nella
gran parte delle famiglie, i vestiti da destinare alla solidarietà vengono raccolti con tutt’altro spirito
rispetto alla carta, al vetro, agli umidi o ai tanti rifiuti di giornata. Molto spesso non sono sentiti
come “stracci”, né in realtà lo sono.
Una volta chiusi nei sacchetti di plastica gialli, si depositano nell’anonimato di un camion o di un
vagone migliaia di piccoli gesti, pensieri, intenzioni, affetti. Può sorprendere qualcuno, ma è proprio
così; le case sono magazzini di storie personali, non di stracci impersonali. Quel vestito, quel
maglione, quel pupazzo, quello scialle, quel giacchino da bambino, dicono a volte molte cose, sono
stati conservati con cura, forse usati poco o niente, magari soltanto per ricordare. Non tutto è
consumo, roba usa e getta, scarto.
Sappiamo bene che la “carità” risulta fuori moda come virtù teologale. E sospettiamo che, se San
Martino donasse ogni metà del suo mantello, troverebbe a fatica qualcuno disposto a riceverlo come
se fosse intero. E’ vero, ricchezza e povertà non sono più le stesse, tanto da catalogare “nuove”
povertà, ma tanta gente insiste a donare come se si trattasse sempre di “vestire gli ignudi” con
cristiana dignità. Pensa cioè alle persone non alle ditte di riciclaggio, pensa a uomini in carne e ossa
non alle fabbriche della piana di Prato dove tutto si ritrasforma, anche il senso e i gesti.
Soltanto ora e nella maniera più sorprendente, tra una discarica abusiva e l’altra, si viene a sapere
per filo e per segno che la raccolta dei vestiti altro non è che l’avvio della catena tessile. La
minimissima parte giunge ai “bisognosi”, la quasi totalità diventa stoffa riciclata, mercato dell’usato,
export o rifiuto da smaltire a norma e pizzo di camorra.
Sorella Trasparenza, direbbe San Francesco. Sarebbe stato meglio saperlo prima, dalla A alla Z,
senza indulgere alle parabole, anche se il ricavato torna alla fine in buone mani, quelle della Caritas.
Il fatto è che, così organizzata, la solidarietà assomiglia troppo a una raccolta differenziata di
materiale che non serve proprio più. Uno “straccio” di dono, così diverso dal mezzo mantello di San
Martino.
Tanto varrebbe allora incaricare della raccolta le aziende municipalizzate.