1994 ottobre 9 Se la storia serve

1994 OTTOBRE 9 Se la storia serve

Da settant’anni in Italia è al potere il ceto moderato. Tutto cambia, fuorchè il dato di fondo, dagli anni
’20 ai ’90.
Dalla marcia su Roma alla Dc a Berlusconi, ha deciso lo stesso blocco sociale. La classe media, la
maggioranza silenziosa, la borghesia, capace di identificare – sempre con istintiva chiarezza – il
pericolo quando non il nemico.
Quale? I rossi, i comunisti, fino a Bertinotti, perché Mussolini era l’ordine, De Gasperi l’Occidente,
Berlusconi il liberismo, il successo, il benessere, cioè la sola ideologia sopravvissuta alla morte delle
Ideologie.
Naturalmente stiamo qui semplificando una storia molto più complicata. Ma non tanto da cancellare
il sentiero della continuità: basti pensare che, dopo 50 anni, anche la destra post-fascista si riappropria
del moderatismo, del doppiopetto, del governo. Non per nulla Fini sta sorpassando addirittura
Berlusconi nei sondaggi di popolarità: i veri eredi del centro storico democristiano sono loro
(Buttiglione no, lui ne è il superstite).
La razionalità degli interessi guida la politica. Ed è il ceto medio a spostare i 5/6 milioni di voti che
decidono le elezioni: chi le vince rappresenta soprattutto quel potere assai concreto, più legato alle
attese corte che alle lunghe speranze.
Ha detto bene Scalfaro. Il fascismo non impose un bel nulla, gli italiani se ne “sciacquarono” le mani
stando a guardare. La placenta qualunquista generò la dittatura, non viceversa.
L’idea di opposizione di governo resta tutt’ora estranea alla nostra cultura politica. O fu opposizione
estrema, dunque per definizione esclusa. O elitaria, quindi di intellettuali senza consenso. O in sé
delegittimata, come nel caso del Pci, perché illiberale e modellata sulla negazione del capitalismo in
un Paese capitalista. Per la prima volta nel Novecento, oggi può nascere l’opposizione di governo,
dunque l’alternativa politica, quindi l’alternanza di potere. Come si usa nelle democrazie moderne.
Il fatto è che non esiste ancora, perché il suo sogno giunge da una lunga storia di marginalità. Per
sommo equivoco, la sinistra ha ritenuto che fare opposizione equivalga a lavorare “contro”.
Oggi l’opposizione non ha né luogo né soggetto. Può essere Botteghe Oscure? Può essere la somma
aritmetica del dopo-Pci e delle salmerie laiche? Non facciamo ridere.
Berlusconi riempì da campione il vuoto moderato, nessuno ha ancora diradato il limbo della sinistra.
Si va dai lavori perennemente in corso alla lamentazione sul destino crudele e baro fino all’orgoglio
della sconfitta. Pochi per sempre, ma buoni.
Ne derivano fin troppi guai per il funzionamento del nostro sistema. La stessa Tangentopoli è figlia
del potere senza ricambio o del potere che tenta di ruminare al suo interno la stessa opposizione come
accadde nel pantano consociativo.
Non solo. Poiché in democrazia l’opposizione è tutt’altro che facoltativa, se manca quella politica
piombano sulla scena i suoi surrogati. Che oggi sono la stampa (non la televisione), la magistratura
(le poche Mani Pulite d’Italia), il sindacato (in transizione dai partiti di riferimento alla tutela degli
interessi).
Né la stampa né la magistratura né il sindacato sono nati per l’opposizione, bensì per il controllo, di
opinione pubblica, di legalità o di socialità. Sulla carta, sono poteri politicamente neutri; in pratica,
accade il contrario soprattutto quando la transizione da un sistema all’altro confonde vecchio e nuovo,
con tutto il cascame di illegalità che dalla prima si riversa sulla seconda Repubblica.
Non esistono governi alternativi ne opposizioni di governo. Sarebbe davvero “torbida” la situazione
se chi può e deve governare puntasse anche a zittire Di Pietro, i giornali e il sindacato. Cioè gli
involontari sosia dell’opposizione che verrà.
Persino l’Italia moderata non ci starebbe. Si è già scottata una volta girandosi dall’altra parte: le basta
e avanza.