1993 settembre 18 Quei soldi che non riavremo mai

1993 settembre 18 – Quei soldi che non riavremo mai

Un metalmeccanico guadagna poco più di un milione al mese; due un insegnante di liceo con 30 anni
di servizio. Perché ricordiamo queste cifre? Ma perché Tangentopoli si è rubato tutto, anche il senso
del denaro.
Il procuratore di Ginevra dà per scontato che nelle banche svizzere riposino più di mille miliardi di
tangenti, ma un pubblico ministero come Nordio ritiene che la fogna emersa finora non rappresenti
che il 5% dell’illegalità reale. Sicché finiamo con il perdere la misura delle cose.
Gli italiani pretenderebbero di ricuperare ilo maltolto. Se lo Stato impiega anni a rimborsare l’Iva,
che almeno si faccia furbo e svelto nel confiscare ciò che gli spetta. Purtroppo, questa è la più pia
delle illusioni; del Grande Bottino riavremo poco, praticamente nulla e tardi. Il motivo è molto
semplice. In vent’anni di partitocrazia selvaggia, il regime ha consumato cifre da capogiro. Ha
mantenuto un ceto sul milione di persone; ha messo a busta paga una macchina senza paragoni in
tutto il mondo occidentale.
Questi soldi non li rivedremo mai. Nemmeno una lira, perché se ne sono andati tutti in fumo,
letteralmente divorati per uso personale, di clan, di corrente o di partito. Un noto portaborse veneto
si vantava pubblicamente di spendere più di un milione al giorno “per le sigarette”: come dire, i suoi
spiccioli. Tra miliardi consumati o investiti o tesaurizzati o sepolti nella giungla bancaria e
finanziaria, il malloppo ha già preso il volo in mille direzioni. Da partiti alla bancarotta e da bugiardi
incalliti della stessa stoffa del giudice Curtò, riavremo al massimo l’elemosina.
C’è un solo modo per ridare senso ai miliardi, al denaro pubblico e, anche, a un capitalismo che ha
svenduto il nerbo morale: entro pochi mesi svuotare questo Parlamento per aggredire senza pietà
questo Stato. Il ministro della Funzione pubblica ha calcolato che risparmieremo 20mila miliardi
soltanto rinegoziando appalti e forniture statali. “Basta togliere – ha affermato Sabino Cassese – un
10% di corruzione”.
Altro che protesta. Finora abbiamo scherzato.