1992 settembre 19 Quei giudici

1992 settembre 19 – Quei giudici

Il riconoscimento del lavoro dei giudici è venuto giovedì scorso dal Quirinale. Su istanza di Scalfaro,
il governo ha approvato il decreto-legge che sequestra o confisca i beni e i profitti derivanti dalle
tangenti. Per la prima volta, lo Stato stabilisce che non si può continuare a rubare a man bassa, in
pratica senza conseguenze. Né patrimoniali per carenza legislativa; né penali per effetto
dell’immunità parlamentare; né politiche perché, con lo spettro del comunismo, il sistema riteneva di
governare dal 1948 all’eternità.
Non è un segnale da buttar via di fronte alla moltitudine dei ladri di partito o di tasca propria con
frequente gemellaggio di entrambi. Ancora prima delle sentenze, le istituzioni riconoscono che lo
scenario delineato in questi mesi dai giudici, particolarmente a Milano e nel Veneto, rappresenta tutta
Italia e ha già un suo valore politicamente probatorio.
Le hanno tentate proprio tutte per delegittimare i magistrati, ma hanno fatto cilecca. Il sistema non si
è reso conto che, nello sfascio della partitocrazia, cadevano a pezzi anche le ultime conseguenze della
famigerata politicizzazione dei giudici. In definitiva, la crisi di questi partiti ha provocato per
simmetria la fine dei vecchi riferimenti ai quali aveva nel passato colpevolmente ceduto anche parte
della magistratura. A cominciare dal Csm.
Sotto questo aspetto più benefica che mai, la crisi del sistema ha per così dire liberato i giudici,
rinvigorendo l’imparzialità o l’iniziativa a volte smarrite. Pur non spettando a loro riformare i partiti,
i magistrati hanno oggi gli strumenti per restaurare, a colpi di codice, le regole infrante in massa.
Da Milano a Venezia, come a Padova o Vicenza, suonano vecchissimi i soliti schemi, le etichette.
Quel giudice è comunista, quell’altro di destra, questo sta con chi conta; opinabili ieri, oggi non
valgono più anche se, per deformazione politica, molti inquisiti pensano esattamente il contrario.
Certo, nemmeno i giudici sono fatti in serie, come tanti bulloni della macchina-giustizia. Ma in questa
fase della vita italiana si ha la sensazione che il ruolo prevalga sulla personalizzazione, che l’indagine
segua i fatti a scapito delle tesi non viceversa.
Il lavoro dei giudici veneziani Salvarani, Nordio, Casson, Smitti, ha confermato questa tendenza alle
prese con l’inchiesta sulle tangenti venete. E abbiamo rafforzato la nostra osservazione intervistando
i due pubblici ministeri in particolare. Recentemente Carlo Nordio, oggi Ivano Nelson Salvarani che
il 14 settembre, lunedì scorso, ha lasciato l’incarico per presiedere il Tribunale penale.
Salvarani ha fatto un lavoro enorme. Nordio dovrà concludere un’inchiesta delicatissima mettendo a
fuoco la responsabilità di De Michelis e Bernini. Sono due giudici molto diversi, che lo schema
indicherebbe “di sinistra” (Salvarani) e “liberale” (Nordio) rischiando di trascurare l’elemento che
oggi irrobustisce la loro inchiesta. Vale a dire l’impegno, attraverso anche duri provvedimenti, a
favorire la ricostruzione di un tessuto al quale siamo tutti interessati in primissima persona.
In una risposta alle nostre domande, si legge quasi il congedo di Salvarani dall’inchiesta. Quando
dice: “I giudici hanno dato all’opinione pubblica la possibilità di rendersi conto effettivamente di
quale fosse la situazione”.
Un compito civile, non politicizzato.