1986 dicembre 20 Quella strada impervia

1986 dicembre 20 – Quella strada impervia
L’Urss non ha eliminato i lager psichiatrici, il lavoro forzato, il confino, l’esilio, l’emarginazione per i
tenaci partigiani del dissenso. Ma Gorbacev ha cancellato la vergogna delle vergogne: la voce di
Andrej Sacharov murata viva nella città proibita di Gorki.
«Umile servo del sistema capitalistico», lo aveva diffamato l’agenzia ufficiale Tass fin dai primi anni
settanta. «Nei Paesi che si dicono socialisti – era la denuncia del grande scienziato – il totalitarismo
burocratico ci trascina verso un vicolo cieco». Che dopo sei anni di interdizione il solo ritorno da Gorki
a Mosca assuma agli occhi del mondo il significato di un gesto storico dimostra a quali livelli di sordità
fosse giunto il «totalitarismo burocratico» in Urss.
Quattrocento chilometri da Mosca a Gorki sono il simbolo di una strada lunga e impervia dato che il
sistema sovietico teme la libertà più di qualsiasi altra insidia. Lo si legge nell’atto di nascita del partito
bolscevico quando Kamenev teorizzò l’inammissibilità del diritto di critica sia all’interno che all’esterno
del partito perché ciò significherebbe ritornare al regime liberale.
Gorbacev ha coraggio perché corregge la sua stessa storia; perché seppellisce una seconda volta le
mummie del passato da Breznev ad Andropov a Cernenko; perché dà sistema nervoso ad apparati come
le bamboline russe racchiuse una nell’altra. Gorbacev cambia perché ha smesso di credere in qualcosa,
sia che legalizzi le attività private sia che apra l’informazione sia che ponga termine al sequestro di
Scharov.
Il suo riformismo coincide con un eccezionale senso tattico, che gli suggerisce – soprattutto da
Reykiavik in poi – di togliere l’iniziativa a Reagan, di utilizzare le contraddizioni dell’Europa, di
sfruttare fino in fondo le difficoltà del presidente americano, di vincere la partita nel grande gioco
dell’«immagine» internazionale. Sul set del mondo, il vero attore è lui, non più Reagan.
I disordini in Kazakistan assumono perciò un suono sinistro. Sotto la polvere del nazionalismo,
nascondono la crosta di un sistema più rassegnato alle novità che pronto ad esse. Abituato a recitare
dogmi, avverte lo smarrimento di ascoltare un manager che dal Cremlino usa parole tipicamente
capitalistiche quali «efficienza» e «produttività».
Se continua così non è improbabile che Gorbacev finisca con il raccogliere in Occidente più consensi
che in Urss. Sarebbe la lapide del comunismo reale.
dicembre 1986