1980 Olimpiade di Mosca. La tecnologia russa

1980 Olimpiade di Mosca – La tecnologia russa

Immagino che vi sarà capitato di vedere in televisione i due grandi tabelloni elettronici dello stadio di
Lenin, dove appaiono risultati, orsetti, gigantografie il replay delle gare appena concluse. I circuiti
elettrici, per i quali sono stati usati anche un chilo di argento e un etto d’oro, sono così veloci che
possono riempire l’intero tabellone in tre millesimi di secondo.
Di fabbricazione sono ungheresi, perché la prima fame sovietica è tecnologica magari guidano gli
sputnik come gli americani, ma non c’è diffusione, immediata applicazione della “civiltà del computer”
alla realtà quotidiana.
Le migliaia di macchine da scrivere dell’Olimpiade sono Olivetti: il più aggiornato sistema di
trasmissione è tedesco occidentale.
Non si tratta di concessioni alla moda di massa che viene da ovest, come lancio per Mosca ‘80 dei jeans
Jesus. È necessità di colmare un inferiorità anche vistosa: l’altra sera sono saltate per oltre due ore tutte
le chiamate telefoniche con l’Italia, cosa impensabile dal Messico o da New York o da Buenos Aires.
Dove le comunicazioni sono in mano alla multinazionale americana ITT, si può semmai andare in tilt
per un automatismo impazzito ma non per carenza di collegamenti.
L’Olimpiade è in questo senso un approccio importante per Mosca, una fessura attraverso la quale un
colosso un po’ pigro sbircia la competizione, una efficienza, una velocità di progresso tutta capitalistica.
L’Olimpiade ha aiutato anche l’architettura. La vecchia Mosca degli zar è ridotta a poco. Cremlino e
quartiere Arbat, perché Stalin era dell’avviso che la rivoluzione si fa anche con la ruspa.
Mosca è soprattutto staliniana, L’Hotel Ucraina o l’università come enormi dinosauri che intravvedi a
chilometri di distanza. Un’architettura greve, a blocchi asiatica quanto Stalin: priva di fantasia come
ogni arte di regime. Quando l’arte non è libera, diceva Moravia,”Il mondo è muto e senza canto”.
A guardare il mostruoso quadrilatero dell’hotel de Rossia, nemmeno il dopo-Stalin è progredito, anzi.
Proprio a Mosca, citta della “prospektiva”, quel castello di cristallo è sorto sullo sfondo della magica
San Basilio, togliendo la Piazza Rossa la sua delicata prospettiva. Un accostamento tanto di cattivo
gusto che, in Italia, avrebbe certamente fatto sospettare uno scandalo edilizio.
In questa Mosca sono piombati gli impianti sportivi, l’Olimpiski Complex e tutto resto, a metà strada
tra Monaco di Baviera e Montreal, con in più una disponibilità di spazi sconosciuta qualsiasi altra
metropoli dell’intero occidente. Da spettatori di sport, i moscoviti scoprono una struttura che li evolve
socialmente. Perché l’architettura non sono muri, tubi, volte e legno di frassino: è cultura, espressività,
idea, segno.
Nel panorama moscovita, sono impianti tanto avanzati da sembrare in ostaggio, clandestini di Stato. Li
ha costruiti il regime e paiano figli del dissenso. Fra 48 ore quando l’Olimpiade morirà, resteranno a
testimoniare il più bel salto in lungo fatto da Mosca