1979 novembre 5 Elogio della bontà

ragioni

l’ha dovuto

fare anche per

1979 novembre 5 – Ieri sui campi di calcio un pesante minuto di
silenzio per riflettere sulla società, lo sport e la violenza. Contro le
parole d’ordine delle culture dominanti urge un pieno… Elogio
della bontà

Il morto ammazzato di Roma ieri ha avuto il suo minuto di silenzio
e gli stadi del calcio si sono messi l’anima in pace, probabilmente
con una dose di cinica fretta: “Ho paura – aveva dichiarato in
settimana l’ala in tutti i sensi sinistra della Fiorentina Dino Pagliari –
che il fattaccio importi a pochi giocatori, per non dire che frega
niente a nessuno. Forse ci mediteranno come sulla morte di un
lontano parente”.
In quattro e quattr’otto uno zelo poliziesco ha rifatto la verginità al
tifo e
rigorosamente
economiche: il calcio italiano, con il suo “giro” di oltre duecento
miliardi all’anno e con un settimanale montepremi del Toto sui
quattro miliardi, risulta tra le prime quindici aziende italiane.
Non può chiudere i battenti né fermarsi, se non per ferie
contrattuali: gli stessi debiti rafforzano la sua stabilità sociale.
Gli imbianchini hanno cancellato dai muri le lugubri scritte spray
del tipo “sarà un derby di sangue”. Sono stati sequestrati gli
striscioni cosiddetti provocatori carichi di un
linguaggio
escrementizio. Agli ingressi il setaccio delle forze dell’ordine è
stato più serrato. Una tacita delega, che va dal Ministro degli
Interni all’uomo della strada, ha affidato ai clubs ufficialmente
organizzati dalle società un massiccio ruolo di vigilantes privati.
“Una volta – ha osservato Sandro Mazzola – non si sparava per le
strade e allo stadio si contestava con il lancio di cuscini in campo.
Oggi
tutto
sproporzionati”. Il fenomeno merita una risposta proporzionata:
fermi di polizia che non siano mere formalità seguite da immediato
rilascio; interventi della magistratura che non equivalgano ad una
depenalizzazione dei reati e che al contrario applichino alla lettera
la legge sulle “armi improprie”. E’ sintomatico che proprio un
sostituto procuratore della Repubblica abbia definito “ridicolo” il
ritenere che la violenza si possa combattere sequestrando
striscioni sulle gradinate. Ci vuole altro.
Ci vuole ben altro per ridare al pubblico il gusto dello spettacolo,
per sottrarre i ragazzi al pericolo dello stadio, per rifondare il partito
dell’evasione. Ci vuole altro, e questo “altro” non lo possiedono né
Rognoni, né D’Arezzo, né Franchi, né caserme e tribunali: è un

la contestazione adopera strade e mezzi del

in

teoria a

“valore umano e cristiano”, come ha avvertito giovedì scorso
questo sportivissimo Papa, un valore che migliorerà lo sport
soltanto se prima avrà intaccato la vita sociale, un nuovo valore
riservato né al cittadino né allo sportivo ma all’uomo integrale,
sempre indivisibile.
E’ il valore del gesto buono, dell’uomo buono, della bontà, virtù
declassata, sottovalutata, derisa dalle culture dominanti forse
perché troppo ovvia e insieme rivoluzionaria.
L’uomo del capitalismo è competitivo, efficiente, non ha tempo
d’essere buono preso com’è dal profitto, dalla “società degli
sprechi” denunciata da Marcuse, dalla pubblicità quale ideologia
quotidiana tanto da far dire a Henri Lefebvre che “il consumo dello
spettacolo diventa spettacolo del consumo”.
L’uomo marxista mira al suo “millennio” attraverso la lotta di classe
e, pur aspirando
liberarsi dall’alienazione della
produttività, ha nella realtà della storia cresciuto di sé soprattutto
l’istinto totalitario, burocratico, repressivo e imperialista.
L’uomo del liberalismo è “forte” annunciava Benedetto Croce, ma
non tanto da evitare che troppo spesso gli “interessi vincessero le
idee”, come temeva Pietro Gobetti.
Anche l’intellettualismo illuministico e borghese ha guardato non
senza snobismo alla razza dei buoni, anteponendo loro la virtù
dell’intelligenza e della selezione, di sovente con la puzza sotto il
naso. Gli ultimi film di Woody Allen Io e Annie e Interiors non
ironizzano sulla moda del genio, sull’intelligente che fa impazzire i
salotti borghesi?
Non sempre la religione ha poi esemplificato con la necessaria
suggestione il primato morale dell’uomo buono ed ha percorso
rituali del perbenismo, la diligenza predicata non era molto diversa
da quella del “buon padre di famiglia” del codice civile, quasi un
cristianesimo ateo, così distante dal proporre “l’animo di un
fanciullo” del Vangelo quale unico passaporto per la città di Dio.
Le culture dominanti trascurano la solidarietà: l’uomo capitalista
produce, il marxista lotta, il borghese utilizza, il rituale mistifica.
Mai come oggi si avverte allora l’urgenza di una controcultura che
rivaluti il buono, il pacifico, il mite, lo scambiarsi il segno di pace
nelle piazze e negli stadi, in fabbrica e a scuola. Gli anni ’80 hanno
bisogno più di un San Francesco che di un Albert Einstein. Quanto
al calcio, urge segare un enorme “albero degli zoccoli” per rifare
suole e anima dello sport, il cui aggettivo-simbolo sta ora scritto
sugli striscioni di tutta Italia: “bastardo”.

I sindaci di Torino e Milano si sono appellati alla “convivenza
civile” ed è proprio questa ad essere degradata, quasi perduta. I
minuti di silenzio sono pie formalità; le misure di polizia ripuliscono
qualche sgabuzzino ultras: ma senza una grande rivoluzione
interiore non cambierà nulla, lo stadio violento, figlio della società
omicida, continuerà a tenere gli stessi cancelli sbarrati di un
carcere, carico di segregazione e di paura.
Sostantivo tra i meno usati nel ventesimo secolo, la bontà è il
valore più antico e meno provvisorio cui ricorrere per uscire dalla
foresta di uomini tra loro lupi. A dispetto delle culture ufficiali, forse
un’importante élite di giovani riuscirà presto a farne il proprio
slogan, una moda ovvia, alla stregua dei jeans, della musica di
Patti Smith o Bob Marley, delle maximoto e dell’ecologia. L’ars
boni et aequi degli antichi romani, non come arte patrizia
dell’equità, ma come ultimo e finalmente diverso bene di consumo
al supermarket della vita e dello sport di massa.
Il diritto a sognare il domani è qualcosa di più di un’utopia del
maggio ’68.