1975 aprile 6 O’ lione, zio Carletto e il geometra

1975 aprile 6 – O’ lione, zio Carletto e il geometra

Uno lo chiamano o’ lione, l’altro Carletto per qualcuno zio Carletto:
sta disegnata qui la prima divergenza tra Vinicio e Parola. Un
ruggito contro un diminutivo mezzo mansuetudine e mezzo
bonomia: dipendesse da loro due, il Napoli avrebbe già sbranato la
Juve anche se è vero che San Francesco d’Assisi addolciva
persino i lupi.
I ventenni cominciano già a scordare i colpi di tacco e i tagliatissimi
shoot di Luis Vinicio, figuriamoci se rammentano qualcosa di
Parola, centromediano della Juve, handicappato dagli anni della
guerra e dallo strapotere del Grande Torino. Al massimo lo
chiamano “quello delle rovesciate”, gesto acrobatico immortalato
da più d’una fotografia anche se un amico osserva maliziosamente
che “Parola era costretto a far quei numeri perché fuori posizione”.
In panchina di Juve-Napoli sono oggi seduti due ex-campioni. ma
è proprio la panchina, il tipo di responsabilità, che li differenzia.
Non fosse brasiliano di Belo Horizonte, Vinicio potrebbe scrivere
“faso tuto mì” sul bigliettino da visita. O’ lione si porta dentro la
durezza della sua terra di miniere. Inventa e sbaglia senza
deleghe: un leone, sia pure vestito Facis in TV e sui rotocalchi,
non può accettare la mezzadria, le infiltrazioni del presidente, le
formazioni di compromesso.
Presidente del Napoli è Ferlaino, il volto uscito dalla matita di
Peynet, l’inventore degli innamoratini. Ferlaino non si sogna
nemmeno di suggerire la battuta all’ex-centravanti le cui poderose
cosce stancarono le braccia dei massaggiatori di mezza Italia. E
non c’è verso che nemmeno la stampa gli crei crisi di coscienza: il
suo “fuorigioco all’olandese” Vinicio se l’è tenuto a dispetto di
incomprensioni al sud e di tatticismi al nord. Carletto Parola no,
non appartiene alla razza padrona. Con le sfumature che fanno i
piemontesi quasi-francesi, di Parola alla Juve si parlò fin dall’inizio
soprattutto come “preparatore”. Perché alle spalle di Parola non
sta Ferlaino, ma Boniperti, uno dei più gran cervelli tra i calciatori
d’Europa degli anni ’50. Nessun’altra società italiana ha un ex-asso
come presidente.
Boniperti è del ’28, Parola del ’21. Il primo giocò trentanove volte in
Nazionale segnando dieci gol; il secondo fu azzurro in quattordici
partite. Ma la completezza tattica di Boniperti sta anche nel fatto
d’esser stato un grande attaccante mentre Parola è stato soltanto
un grande difensore.

Dico soltanto dal momento che Ettore Puricelli spiega così la
differenza tra i due tipi di giocatori: “L’attaccante è uno che sa
giocare in qualsiasi parte del campo, non si trova perso mai, né
davanti al proprio portiere né davanti a quello avversario. Il
difensore è invece uno che si sente a casa propria soltanto su
mezzo campo: quando supera quella linea maledetta e va oltre,
viene quasi sempre preso dal panico”.
Il curioso è che anche Boniperti cominciò nello stesso ruolo di
Parola! Il geometra Gianpiero da ragazzo fu infatti centromediano
del Barengo. Maturò rapidamente in centravanti e poi mezz’ala.
“Non impongo nulla – assicura Boniperti – discutiamo”. Ma nessuno
gli crede.
O’ lione no, Vinicio perde e vince da solo, parola di Bernardini che
brutalmente predica: “Come giocatori il Napoli non esiste. Il Napoli
è un’invenzione di Vinicio”.