2004 marzo 20 Pantani

2004 marzo 20 – Pantani coca

Un atleta spesso stupefacente in salita ha smesso di vivere per un’intossicazione acuta di
stupefacenti. A un mese dai funerali, sappiamo che Marco Pantani morì di cocaina, la polvere
bianca che aveva lasciato ampia traccia di sé sul comodino dell’ultima stanza d’albergo del
campione: una sostanza che promette euforia ma che porta allo spappolamento della personalità.
Non é una notizia che fa colpo; è la conferma ufficiale, gelida quanto un obitorio, di ciò che
sapevano già tutti, compresi gli ipocriti e i retori del ciclismo. Era stata brutta la morte di Pantani,
squallida in ogni dettaglio, solitaria nel celare l’inconfessabile, separata dalle ovazioni dello sport
come dalle residuali buone amicizie. Ora la relazione del perito medico legale nominato dal
magistrato chiarisce che non fu nemmeno suicidio.
Era soltanto troppa quella dose di cocaina, fino a provocare edema polmonare e cerebrale cioè tanto
di quel liquido in più in circolazione da ammazzare anche il fisico di un Pantani abituato a domare
Alpi e Pirenei a colpi di pedale, di sudore e di abnorme resistenza alla fatica. Il campione che
affascinava come un “pirata” i bambini, ha chiuso la sua storia con una sostanza da spaccio
criminale. Le ultime persone che lo hanno visto sono stati probabilmente gli spacciatori.
Per quanto da anni e anni il doping accompagni lo sport da parassita di casa, nessuno avrebbe
potuto mettere in scena questa fine di Pantani da ieri verbalizzata in una procura della Repubblica.
Un atto unico e claustrale, chiuso in se stesso, con la camera di un residence scelta quale
palcoscenico di un teatro del tutto privo di spettatori ma esaurito in ogni ordine di posti per la
presenza di fantasmi, demoni, incubi , livori, risentimenti e interiori ossessioni.
Un Pantani quasi testamentario aveva detto un giorno:”Il ciclismo mancherà a me ma anch’io
mancherò al ciclismo.” E’ vero, così stanno tecnicamente le cose.
Eppure, il timbro finale “ Cocaina” sul dossier-Pantani finirà per far calare in fretta il sipario anche
sulla qualità del campione. Nello sport dell’immagine, tutto si tiene, compresa la memoria. Troppo
negativo il suo congedo; troppo diseducativo il suo traguardo; troppo intossicata la volata finale
della carriera; tutto troppo per riuscire a sfidare il tempo della rimozione.
Per paradosso, Pantani non lascia in eredità nemmeno la sua ambigua grandezza. Perché, al
momento di sollevarsi sui pedali a dispetto delle pendenze e degli avversari, era inimitabile per
stile, strappo e superbia. E perché le “evidenze tossicologiche” della sua fine – come ha concluso il
medico legale – sono tutt’altro che da imitare.
Di Marco Pantani resteranno soltanto ombre, ombre rosa e gialle come le sue maglie vincenti,
ombre bianche come la polvere sul comodino. Non sarà un ricordo il suo ma, fatalmente, l’ombra di
un ricordo per sempre sdoppiato.