2003 ottobre 19 Ma quanto conta un allenatore

2003 ottobre 19 – Quanto conta un allenatore?

Ma quanto conta un allenatore nei successi o nella mediocrità di una squadra di calcio? Dovrei
rispondere che non conta niente se dovessi prendere alla lettera l’ultima disperata battuta di Zdenek
Zeman, praghese di 56 anni, che ai suoi giocatori dell’Avellino ultimo in classifica di serie B ha
detto: “Darò cinque euro per ogni tiro in porta”. Dopo aver tentato ovunque il Bel gioco contro lo
schema avaro, un esteta come Zeman si arrende.
Zeman ama il gioco a zona, lo stesso di cui Arrigo Sacchi é stato maestro in Italia.La “zona” prima
pensa agli spazi poi alla marcatura. Più che una tattica calcistica, é una visione della vita.
Ci sono sempre stati allenatori che fanno scuola. Il meglio del difensivismo organizzato, cioè del
Catenaccio con la nobile C maiuscola, é figlio di un trevigiano e di un triestino. In omaggio a Gipo
Viani di Nervesa della Battaglia, il Catenaccio primitivo viene chiamato non a caso Vianema. Ma é
Nereo Rocco che sublima il “primo non prenderle” come zoccolo duro da cui far partire la gran
caccia al gol.
Padova é una università tattica fin dagli anni ’40. E un tecnico friulano, Alfredo Foni, vince due
scudetti negli anni ’50 fornendo ai formidabili attaccanti dell’Inter la garanzia dello 0-0 in difesa.
Sarebbe interessante andare a fondo di questa storia che vede tutta gente del Nordest produrre il
calcio più pragmatico e tagliato su misura per gli italiani. Anche perché un altro friulano di
frontiera, Enzo Bearzot, nel 1982 vince spettacolarmente il solo Mondiale dal dopoguerra ad oggi.
Ricordo il mio primo campionato del mondo da inviato, nel 1966 in Inghilterra. Nel ritiro del
Brasile avevo l’appuntamento per intervistare Garrincha, dio delle ali destre di tutti i tempi, quando
entrai in un salottino con caminetto e qualche poltrona in cuoio scuro. Non c’erano altri, soltanto
Vicente Feola, grande palla di carne seduta con il suo sigaro, i suoi pensieri e il suo sorriso oriundo
meridionale. Era un monumento tattico, da anni l’ideologo di una formula con tre numeri, il 4-2-4,
ricavato dall’allineamento tattico dei giocatori brasiliani in campo.
Anche l’offensivismo alla olandese é inventato a tavolino, al seguito di una cultura popolare. Ma gli
allenatori in gamba sanno modificare gli stessi giocatori, assi compresi.
Helenio Herrera portò all’Inter degli anni ’60 Luis Suarez, interno di punta del Barcellona, per
farne invece il regista lanciatore del contropiede. Arretrò di molto la posizione di Suarez e, in
aggiunta, lanciò sul corridoio sinistro Facchetti che da allora fu battezzato terzino “fluidificante”.
Gianni Brera, che era un Feola della tribuna stampa, avrebbe voluto che Facchetti, bello alto e
atletico, provasse a fare il centravanti.
La mano dei buoni allenatori si sente, eccòme. Con Zambrotta, quest’anno Marcello Lippi ha
ricavato da un’ala il miglior terzino lanciato del campionato. Alla Juve Lippi viene definito
“allenatore dei cervelli”; forse per questo non poteva funzionare all’Inter dove, per gene e
tradizione, serve un “allenatore dei nervi”.
Hector Cuper non lascia traccia all’Inter. Sulla serietà e sul lavoro, nulla da dire. Ma non lascia
niente, né lo schema riconoscibile né un’invenzione tecnica né tanto meno la sensibilità a decifrare
in tempo reale la partita dalla panchina. E’ un’ottima persona ma un allenatore impersonale.

Ieri ho visto segnare Ronaldo in Spagna: 6 partite 6 gol; in totale 39 gol in 53 partite. Ieri ho visto
segnare, con un destro da leopardo, anche Crespo in Inghilterra. E il giovane Adriano, prestato al
Parma, ha il sinistro-gol più potente del campionato.
L’Inter fornisce assi del gol a tutti, ma in campo sembra un raduno più che una squadra. Purtroppo
Massimo Moratti ha fatto soltanto ieri ciò che andava fatto già l’anno scorso.

Il calcio prevede anche presidenti ritardatari e giocatori sbadati, ma La differenza prodotta da un
tecnico che funziona vale almeno un 20 per cento: la differenza di quella decina di punti che fanno
uno scudetto o la frustrazione perpetua.
Caro Cuper, buona fortuna, ma era ora.