2003 gennaio 25 Gianni Agnelli

2003 gennaio 25 – Gianni Agnelli

C’è chi considera il calcio un’allegria, chi un’evasione, chi un passatempo, chi una follia
organizzata. Per Gianni Agnelli era tutt’altra cosa. La Juve era il proseguimento del casato con altri
mezzi, il giocattolo più familiare, l’amore fedele , un bene che il padre Edoardo gli aveva fatto
conoscere fin dall’età di quattro anni. Quasi una madre, mai un flirt.
Nella storia della Fiat c’è un interno di famiglia della Juve che fa nel calcio capitolo a sé come
l’Avvocato. Lui non è mai stato un presidente o un mecenate fra i tanti ma il sovrano ereditario
della Juventus, società fondata da un gruppo di liceali torinesi e consegnata nel 1923 agli Agnelli da
un dipendente della Fiat. Credo che per Gianni Agnelli la Juve fosse l’eterna infanzia del vivere, il
piacere senza aggettivi, il cocktail altrimenti impossibile tra erre moscia e boatos di stadio, tra
aristocrazia del potere freddo e potere caldo delle passioni.
Indro Montanelli definiva l’Avvocato un “re”. Non so fino a che punto lo fosse della Fiat o della
Ferrari, ma della Juve sì, lo era, avendo preso a prestito dal padre la massima meno conservatrice
che si possa immaginare:” Ciò che è ben fatto può essere migliorato.” Un gol tira l’altro, si potrebbe
anche tradurre tra noi populisti da curva.
Ne ha avuti di piacevolissimi hobby Gianni Agnelli; tra questi non la Juve. La Juve era molto più di
un hobby. Quando una scrittrice francese gli chiese di parlare di automobili, lui le rispose che per
tutte le curiosità tecniche poteva metterle a disposizione mille ingegneri mentre per il calcio era
invece subito disponibile di persona. Il calcio è per lui “una scienza”, concluse Marie-France
Pochna.
A Milano ero alle primissime armi come giornalista quando il mio direttore mi spedì all’aeroporto
di Linate per intervistare Gianni Agnelli, che faceva scalo con l’aereo personale. Non sapevo da che
parte cominciare, ma cominciò lui per me; così, fu semplicissimo intervistarlo soprattutto a
proposito dei Sivori o degli Haller, le fuoriserie di allora.
Agnelli ha sempre avuto una predilezione per gli assi stranieri, che a guardar bene era incoerente
con la politica monopolistica della Fiat. Per impedire che l’Alfa Romeo passasse all’americana
Ford, la Fiat fu capace di sfruttare perfino il pretesto nazionalista della difesa dell’auto italiana.
Con il calcio accadeva esattamente il contrario: l’Avvocato era per il mercato senza frontiere già
prima dell’avvento della globalizzazione. Protezionista con l’auto, liberista con i calciatori.
Era il più giovane presidente della serie A quando, negli anni Cinquanta, comperò il danese John
Hansen per 12 milioni, a uno stipendio di 83 mila lire al mese. Amava Sivori, piccolo in campo più
di una Topolino per strada, ma dal dribbling ondulatorio come forse non si è più visto da allora.
Angelo Moratti voleva portare all’Inter Pelè, primo giocatore della storia valutato un milione di
dollari. Forse in omaggio al rischio d’impresa, all’Avvocato sarebbe piaciuto ingaggiare l’immenso
quanto inaffidabile Maradona che gli appariva come l’evoluzione massima della specie dei bipedi
da gol.
In realtà i suoi modelli estetici si ispirano al cosiddetto “stile Juve”, da Platini a Schumacher. Lo
“stile Juve” è transitivo, ha preso domicilio mediatico anche alla Ferrari.
Non si è mai saputo bene in che cosa consista questo stile dominante, ma di sicuro va tradotto in
“stile Agnelli”. Lo stile Juve è il potere e la razza padrona che si esercitano attraverso la
fascinazione personale dell’Avvocato.
La Juve nasce prima degli Agnelli, lo stile Juve tutto con Agnelli. E’ in fondo un tentativo di fair
play sopra la scorza dura e cattiva di ogni competizione che si rispetti. Incredibilmente, anche il tifo
può essere illuminato, e forse per questo gli piaceva soprattutto il calcio inglese.
Con Gianni Agnelli si chiude davvero un’epoca. Finisce anche una Juve, e non mi pare questa una
frase di circostanza. Forse non sarà più la stessa nemmeno la Ferrari, figlia adottiva, marchio di
punta della “vasta gamma”.
Non si era mai visto in Italia un capitalista così allo stadio, così ai box. Mai vista altrettanta
monarchia nell’arte di vincere. Mai visto un altro epicureo dello sport come lui. La partita giocata
dall’Avvocato si conclude con lui, senza eredi.