2002 gennaio 13 Male (in)curabile
DOMENICA 6
Male (in)curabile
E’ stato un trionfo nella sua Barcellona, dove è tornata a cantare in un’opera lirica: al soprano Montserrat
Caballé, 68 anni, uno dei grandi al mondo, non accadeva più da dieci interminabili anni, da quando fu colpita
da un tumore alla testa. Operata più volte, non aveva mai mollato ma, finalmente, ha potuto rifare tutto al
cento per cento, come prima, nonostante il rischio per le vibrazioni così intense del canto.
«Ho ritrovato la mia voce, la mia forza, la felicità dell’ottimismo», ha detto a «Repubblica». In platea ad
applaudirla c’erano tutti i suoi medici, spagnoli e americani. «Un trionfo anche per loro», ha aggiunto il
soprano catalano.
Perché a noi giornalisti, ho pensato, spesso capita di usare ancora oggi, a proposito del cancro,
l’espressione «male incurabile»? Una volta, almeno, testimoniava nelle cronache una forma di delicatezza e
di pudore, anche di rassegnazione di fronte al Male più sintomatico della modernità.
Ma adesso un bel po’ di cose sono cambiate. Adesso, nel liquidare la malattia, come «incurabile», si avalla
una notizia sbagliata che perpetua un messaggio psicologicamente errato nei confronti di ammalati da
tempo «curabili» di cancro. Oggi si guarisce anche di certe forme di leucemia; dovremmo stare attenti a
curare anche le parole, per distinguere, con realismo.
Il più forte ciclista al mondo, l’americano Armstrong, ha aggredito un tumore ai testicoli e lo ha battuto. Da
due anni, sulle epiche salite del Tour de France, il suo è il più bello spot alla salute. E sta alla pari con la
fiducia che il prof. Veronesi dimostra nella scienza medica.
Sotto il termine «cancro» vanno 100 malattie, cento tipi diversi dello stesso male. In Veneto, ad esempio, le
guarigioni toccano ormai il 57/58 per cento dei casi, ben sopra la media nazionale, a riprova della bontà del
sistema sanitario e professionale del Nordest. Per i tumori alla mammella, si arriva all’80 per cento, anche al
90 in certe zone ad alta prevenzione.
Quando ne fu colpito, padre David Maria Turoldo lo definì «il drago», che si era seduto sul suo pancreas
«come un re sul trono». Risulta fin troppo ovvio che, nonostante i poderosi progressi, c’è ancora un sacco di
gente che non ce la fa. Se il 58 per cento guarisce, il 42 no.
Il prof. Umberto Tirelli, che guida il centro oncologico di Aviano, la chiama concretamente «una guerra»:
tante le battaglie già vinte, ma una guerra più che mai in corso con le tre armi concentriche della
prevenzione, della diagnosi precoce e della terapia. A suo dire, l’arma segreta sarà il genoma, che
permetterà di leggere il corpo umano come l’Abc.
Un primario oncologo, Paolo Manente, fa il punto così: «Ha ragione Veronesi, oggi il cancro è di solito
curabile e sarà sempre più guaribile». Un giorno, la ricerca farà arretrare anche il drago del secolo.
LUNEDI’ 7
Donne
Tinto Brass, regista veneziano: «Con l’eccesso di immagini di donne seminude e di culi in primo piano, con
intenti di pornografia più o meno espliciti, la televisione sta distruggendo le emozioni».
Yves Saint Laurent, stilista francese: «Ho voluto mettermi al servizio delle donne. Quando vedo le donne
portare il tailleur-pantalone, mi dico che ho partecipato alla creazione della mia epoca».
MARTEDI’ 8
Venezia a sè
Il Comune di Venezia ha 274 mila abitanti, divisi in tre: 65.695 in Centro storico, 176 mila a Mestre, 32 mila
nell’Estuario. C’è di tutto: la città d’acqua, di terra e le isole.
Si scopre l’acqua calda ripetendo che Mestre funziona come il girasole di un triangolo metropolitano veneto,
con Venezia storica appunto, Padova (209 mila abitanti) e Treviso (87 mila). Gli interessi di Mestre
ruoteranno sempre più a 360 gradi, da città aperta.
Il Comune di Venezia è il più centrifugo d’Italia in questo momento. Si avvia, in 23 anni, al quarto referendum
per la separazione da Mestre, dopo che le tre precedenti consultazioni popolari hanno fatto crescere i
separatisti dal 26 per cento al 42 e infine al 47.
Il Cavallino si è già preso l’autonomia, mentre c’è chi rivendica la municipalità anche per Marghera e il Lido.
Lo scrittore francese Marcel Proust leggeva in Venezia una conturbante stratificazione di presente e di
passato. La Storia dominante e una cronaca demitizzata, si potrebbe dire ora, che rimette in discussione il
territorio. Mestre è più veneta di ieri; Venezia sarà domani ancora più Venezia di oggi.
Posso sbagliare ma a me sembra che, mai come adesso, Venezia storica sia totalmente un a sè, con il
minimo della popolazione (65 mila) e il massimo dei turisti (12 milioni all’anno). E’ come se ogni abitante del
Centro avesse in quota 190 turisti!
In queste ore, Venezia discute non a caso di tassa d’ingresso, di prenotazioni organizzate, di card, di stress
da turismo, di navi da crociera, di moto ondoso, di polo nautico, di regata storica, di fauna ittica a rischio, di
gabbiani e cormorani. Tutto si tiene nel suo specialissimo universo, fatto di flussi, di pietre e di laguna. Città
mobile e statica, tra pendolarismo urbi et orbi e conservazione del suo ben di Dio.
Anche in altro senso Venezia è un a sè stante. Sua azienda di punta, il Consorzio Venezia Nuova produce
un bene di consumo molto singolare: Venezia stessa, ri-producendone l’habitat, ripristinandola pezzo a
pezzo, su commissione dello Stato. Una fabbrica diffusa.
La vera industria della città è il riuso: i rii, le abitazioni, gli spazi, la Fenice, nella sicurezza. Laguna a posto,
porto sicuro, maree sicure; forse il Mose, chissà, questo elefante d’ingegneria pronto ad accucciarsi
nell’acqua a far diga al mare: in fondo, Venezia Serenissima ha sempre piantato di tutto, interi boschi veneti,
per tener su il suo bosco di palazzi, una foresta fatta a mano.
Mai, ripeto, Venezia è stata così intimamente veneziana, anche nelle sue divisioni. Dopo esserne stata per
mezzo secolo una bandiera, Teresa Foscari Foscolo si è dimessa in queste ore da «Italia Nostra»
denunciandone i pregiudizi e le chiusure: sottintenso, contro il Mose. Questa è la città dove anche l’ambiente
viene vissuto con passioni frontali.
Mi chiedo: ma se nel 2002, più di ieri e come domani, Venezia resta un totalmente a sè, perché mai
immaginarla come la metropoli che non c’è e perché, al contrario, rinunciare a organizzarla come una città a
sè? Con la separazione consensuale, senza goldoniane baruffe, Mestre sarebbe più veneta, Venezia più
veneziana e più venezianamente del mondo.
Nessuno, tantomeno la Regione, ci perderebbe qualcosa. Anzi.
MERCOLEDI’ 9
Le cinture
Faccio l’ennesimo test, prendendo dai quotidiani due recenti incidenti stradali mortali: una vittima picchia la
testa, l’altra finisce fuori dell’abitacolo. Dai resoconti manca ogni riferimento alle cinture di sicurezza.
Mi informo: nessuna delle due vittime usava le cinture. Come darsi la pena di morte su strada.
Poco tempo fa, due ragazzi veneti sono stati invitati a Milano dal mensile «Quattroruote» per raccontare la
loro esperienza di «scampati» a due gravi incidenti. Giorgio Maso, 28 anni, trevigiano di Vascon, e Daniele
Miotto, 24, veneziano di Campolongo, si sono presentati belli, simpatici e sorridenti, insomma vivi, soltanto
perché – parole loro – trattenuti «come salami» dalle cinture, in fondo a un fosso il primo, addosso a un palo il
secondo.
Per vivere, a volte basta quel clic a fianco del sedile. Ragazzi, date retta a questi due ragazzi.
GIOVEDI’ 10
Berlusconi
A proposito di Giustizia, il presidente Berlusconi auspica che «si stemperino le polemiche». Benissimo: basta
che si lasci processare, e amen, come tutti.
Ha anche aggiunto: «Sono tranquillo, non ho mai corrotto nessuno e la vicenda nel suo reale svolgimento lo
dimostra perfettamente». Bene, ancora meglio: la sentenza e/o le sentenze lo dovranno riconoscere, se così
fosse.
Tranquillo lui, tranquilli noi cittadini, tranquilli i Centauri del Foro penale, con la testa di parlamentari e il
corpo di avvocati. Tranquillo anche Previti?
Nel suo libro autobiografico, la superteste d’accusa Stefania Ariosto scrive: «Sicuramente la scelta culturale
di Cesare Previti è quella del super uomo». Avevamo già capito che i tribunali dei comuni mortali gli stanno
stretti, come un cappio.
VENERDI’ 11
Rutelli
Francesco Rutelli, intervistato da «Repubblica», rivela: «Una parte dell’Italia è di destra. E’ quella che
comprende il piccolo padroncino del Nordest che è orgoglioso di sfruttare gli immigrati e di non pagare le
tasse: questi non voteranno mai per noi».
Strano. Dal 9 al 13 febbraio 2001, il candidato-premier Rutelli viaggiò in treno a Nordest, da Trieste a
Verona, da Udine a Treviso, da Gorizia a Venezia e Oderzo, in lungo e in largo, parlando con un sacco di
gente, ma, soprattutto imprenditori. Ne dà conto, fedelmente, il diario di quel viaggio («Sul treno di Rutelli»,
di Gianni Montagni, il Prato editore).
A Treviso, Rutelli parlò «di dinamismo dell’economia» locale. A Oderzo, di fronte a ottanta imprenditori,
disse: «L’Italia non è un Paese disastrato e voi ne siete la testimonianza». Interessante il suo programma
sull’immigrazione: «Riprendere la proposta di Nicola Tognana, cioè andare a contrattare nei Paesi d’origine
la preparazione della manodopera e il suo arrivo».
Evasori fiscali? Mai una sillaba. Sfruttatori di immigrati? Non una parola, anzi Rutelli faceva sua la proposta
di Tognana a nome degli imprenditori del Nordest. Il quale Nordest, assieme a qualche buon primato, non ha
quello dell’evasione né dello sfruttamento, come evidenziano le statistiche ufficiali a livello nazionale.
Ah, dimenticavo: a febbraio di un anno fa, Rutelli era a Nordest per la campagna elettorale. E cercava voti,
anche tacendo quel che fin da allora evidentemente pensava.
La prossima volta, tanto vale che risparmi il treno. Meglio che ci riprovi Romano Prodi, anche perché nel
remoto 1996 non fu il centrosinistra a inventare Prodi ma Prodi a inventare il centrosinistra.
Il solo vero bipolarismo sperimentato in Italia è quello tra Berlusconi e Prodi, tra questi due leader non tra
due coalizioni. Senza Prodi, il centrosinistra è politicamente allo sbando; senza Berlusconi, il centrodestra si
sfascerebbe in 24 ore.
Il resto è treno dei desideri.
SABATO 12
La citazione
Oriana Fallaci da «La rabbia e l’orgoglio», Rizzoli.
«Bè, secondo me l’America riscatta la plebe. Sono tutti plebei, in America. Bianchi, neri, gialli, marroni, viola.
Stupidi, intelligenti, poveri, ricchi. Anzi i più plebei sono proprio i ricchi. Nella maggioranza dei casi, certi
piercoli (termine toscano per “villani”, ndr.)! Rozzi, maleducati. Lo vedi subito che non hanno mai letto
Monsignor della Casa, che non hanno mai avuto nulla a che fare con la raffinatezza e il buon gusto e la
sophistication. Nonostante i soldi che sprecano nel vestirsi son così ineleganti che, in paragone, la regina
d’Inghilterra sembra chic. Però sono riscattati, perdio. E a questo mondo non c’è nulla di più forte, di più
potente, di più inesorabile, della plebe riscattata. Ti rompi sempre le corna con la Plebe Riscattata. E, in un
modo o nell’altro, con l’America le corna se le sono sempre rotte tutti. Inglesi, tedeschi, messicani, russi,
nazisti, fascisti, comunisti…».