1995 luglio 9 Ma non è una cosa seria

1995 luglio 9 – Ma non è una cosa seria

Un giorno le regole, un altro il tavolo delle regole; un altro ancora l’accordo sulle regole, e via con
l’ultima nenia. Telegiornali e giornali cantano il disgelo, il nuovo clima, il dialogo tra i Poli. Italia retorica
in piedi! Andiamo tutti in solluchero soltanto per aver scoperto l’acqua calda della democrazia: un
minimo di rispetto tra le forze politiche volendo ottenere il massimo delle reciproche garanzie. Invece di
applaudire dovremmo vergognarci di essere ancora a questo punto, impigliati nei convenevoli. Roba
senza polpa, bizantina, del più estenuato Settecento. Ma vogliamo scherzare? I titoli dei giornali debbono
ancora occuparsi della durata di una stretta di mano tra Berlusconi e D’Alema: «Quella lunga stretta di
mano». Allora, vediamo. S’incontrano a un congresso di partito i due leader del primo e del secondo,
partito, che da soli rappresentano il voto di metà degli italiani. Entrambi si dichiarano «liberali»,
saccheggiano tutti i padri del pensiero tollerante, e che cosa dovrebbero fare se non stringersi almeno la
mano, forse sputarsi in un occhio? Ma insomma, non se ne può più di questa politica perdigiorno, che
non parla mai di una cosa vera, reale, quotidiana, palpabile, e che al contrario piega il reale al virtuale,
dedicando ogni energia alla politica della politica. L’onanismo al potere. Guardate le pensioni. Le
pensioni sono una cosa seria, toccano vite, lavoro, carriere; non riguardano soltanto i pensionati e
pensionabili, ingaggiano l’avvenire di generazioni costrette domani a pagare i conti di sprechi,
malgoverno e incoscienza che non hanno provocato. Eppure, nemmeno le pensioni sono al riparo, le
tirano avanti o indietro indipendentemente dai contenuti, soltanto in funzione della data delle elezioni e
queste ultime dipendono a loro volta da calcoli di convenienza di questa o quella forza politica, mica dal
tentativo di capire che cosa serva ora al nostro Paese. Questa è la fase più bassa della transizione, un
gioco dell’oca dove si ritorna quasi sempre alla casella di partenza. Il bello è che nemmeno il tanto
decantato fair-play si può dare per conquistato nel nome della legittimazione di tutti verso tutti. Macché:
in mezzo a tanto fruscio di regole e di buffetti, Berlusconi decide per conto suo che un leader del Polo
contrapposto non è ancora un leader, introducendo il principio secondo il quale ci si sceglie l’avversario.
Cioè il massimo della delegittimazione altrui. Berlusconi si inventò Forza Italia da zero, con abilità
mostruosa, intuendo un elettorato orfano di centro; Prodi ha scelto l’Ulivo, pianta che cresce
lentissimamente, raccogliendo una dopo l’altra le radici di un’altra Italia, anche questa alla ricerca del
tempo perduto. Soprattutto nei momenti di passaggio, non esiste la patente per l’ingresso in politica: per
strade diverse si arriva allo stesso diritto-dovere, quello di riconoscere l’avversario e di essere da lui
radicalmente riconosciuto. Senza prove d’esame, senza foglio rosa, senza lista d’attesa, senza la logica
del «contro», che è poi quella del «nemico» e della «criminalizzazione» a buon mercato, ben nota proprio
a Berlusconi, che in una prima fase ne fu vittima. Nessuno deve dare investitura a nessuno, questa la
prima regola, ma la più elementare, quasi banale per un Paese europeo alla soglia del Duemila.

9 luglio 1995