1995 gennaio 21 Le tre grandi paure
1995 gennaio 21 – Le tre grandi paure quanto nel 1922.
La scena è occupata da politici cianotici, o sudati, o lividi, le pupille cariche di disprezzo, le labbra
frementi, la voce che fa fatica a farsi strada. La tv democristiana ti mandava in catalessi, questa ti fa
saltare sulla poltrona: anche le creature più mansuete si sono messe a urlare. 
La  parola  “golpe”  è  diventata  familiare  come  i  pensieri  incarnati  dei  baciperugina.  L’”eversione”
cammina  tra  di  noi  più  o  meno.  Scalfaro  appare  come  un  gigante  della  Trama  e  dello  Spergiuro,
l’incrocio tra Richelieu, Macchiavelli e Mefistofele. Il Parlamento poi: dopo quello dei  Ladri oggi
abbiamo quello dei Traditori. Di giorno in giorno il loro numero aumenta, i Giuda all’ingrosso non si
contano più da quando, honoris causa, anche Lamberto Dini è finito nel mucchio.. 
E’ così, non stiamo scherzando. Tantissima tv e tanta stampa non si distinguono, anzi prendono gusto
alla zuffa. Conviene allora guardarci dentro attraverso chi ci osserva da fuori. 
Prendiamo  il  francese  “Le  Figaro”,  giornale  di  centro-destra,  gran  borghese,  insospettabile  di
sinistrismo  d’ogni  tipo  e  prima  di  tutto  culturale.  Riferendosi  a  Dini,  racconta  da  Roma  di  una
“situazione paradossale” e di “stupore”. 
Berlusconi propone Dini, subito dopo lo boccia, infine lo invita a dimettersi, se il suo governo ce la
facesse  ugualmente  “con  il  voto  degli  altri”!  Quest’ultima  è  di  ieri:  nei  panni  di  un  osservatore
straniero riusciremmo a capirla? 
Però noi, stranieri non siamo. Non solo: la prima Repubblica ci ha abituato a veri e propri corsi di
sopravvivenza politica. Abbiamo ad esempio imparato che lo stupore non serve a nulla; molto meglio
tentar di capire ciò che di primo acchito sembra del tutto incomprensibile. 
Questa crisi nasconde tutt’altro che uno psicodramma. I nervi saltano perché la posta in gioco e gli
interessi sono di prima grandezza. 
Per quanto stressato, Berlusconi sa quel che fa e, soprattutto, quel che teme. Teme che Dini funzioni,
dando a Scalfaro l’alibi per spostare a primavera 1996 le elezioni. Teme che il tempo lavori contro il
Polo, già pronto al voto, e a favore delle opposizioni tuttora allo sbando e senza leader. Teme che la
sentenza della Corte Costituzionale sulla tv privata, i referendum contro la legge Mammì e le misure
del governo Dini sulla “pari condizione” nell’informazione, mettano definitivamente a repentaglio la
Fininvest e, dunque, l’arma preferita di Forza Italia, primo partito plebiscitario del dopoguerra. 
Sono timori tutt’altro che campati in aria, ma insufficienti a cancellare altri dati sotto gli occhi di tutti.
Se  Berlusconi  affonderà  quello  che  fu  il  ministro-bandiera  del  rigore  nel  suo  stesso  governo,  le
prediche sull’avventurismo di Bossi e sull’irresponsabilità di D’Alema saranno consegnate alla storia
del teatro. Se Berlusconi punterà ancora e tutto sul potere televisivo, l’ex democrazia bloccata (dal
comunismo) si trasformerà in democrazia manipolata (dallo spot politico). 
E’ sacrosanto che l’Italia torni a votare dopo la scelta di Bossi. E’ suicida sacrificare a quel voto anche
l’unico ammortizzatore della crisi: il prestigio di Lamberto Dini.