1993 luglio 21 Che cosa bisogna sapere

1993 luglio 21 – Che cosa bisogna sapere

“È una sconfitta”, ha ammesso Di Pietro. Da un pezzo l’inchiesta su Cagliari non era più sua, ma
una morte così è sempre una sconfitta.

Tra la pietà e le lacrime di coccodrillo il confine può essere a volte molto esile. La stonatura resta
perennemente in agguato, soprattutto quando i gesti segreti sono accompagnati dai pubblici
commenti. Come il nostro, a tavolino.

Non San Vittore a Milano, ma il carcere in sé lascia il segno. Più visibile nel caso di Tangentopoli,
perché i protagonisti vi erano per definizione impreparati: il senso di impunità e di eternità vizia i
suoi stessi detentori.

Del resto, il Potere finisce in manette soltanto quando perde potere. Perciò la chiamiamo
rivoluzione. “Dolce”, come l’ha definita Ciampi, per le speranze che suscita; dura per chi paga i
conti del passato da rimuovere.

Non tutti reagiscono allo stesso modo. Dopo 117 giorni di galera e quasi cinquanta ai domiciliari, il
potente Zamorani trovò la voglia e l’ironia per scrivere su “L’Espresso” un dossier a puntate. “Un
manuale di sopravvivenza” dove i passaggi amari erano sempre mitigati dal disincanto e dalla
saggezza. “Cominciate a pensare – raccomandava Zamorani a un ipotetico, eccellente inquisito di
Mani Pulite – che dopo l’arresto conterete molto meno e molti rapporti con gli altri si
volatilizzeranno”.

Gran collettore di tangenti milanesi, il dc Mongini raccontò il primo incontro con Di Pietro come se
gli fosse “apparsa la Madonna”. Confessò tutto e subito in un solo colpo, dalla A alla Z, ricavando
da quell’esperienza un libro ben venduto e una raffica di esibizioni disinvolte in tv.

Per i più, la carcerazione preventiva è invece il trauma, la polvere manzoniana, il black-out della
persona. Ricordiamo lo smarrimento di tanti, fin dalle prime inchieste nel Veneto. Gli Agostosi, i
Cremonese, i Favaro, i Munaretto, i Merlo, tutti del tutto sconvolti alla sola idea.

Gli avvocati più scrupolosi si sono trasformati in psicologi, in confessori, in familiari. Non è vero
che tutto vale una parcella. Quando un’inchiesta mette in croce un regime fondato sull’illegalità, i
tasselli della giustizia toccano assieme il diapason. Tra cinismo e vergogna, tra incubo e liberazione.
Con un contrasto che deve pesare il doppio soprattutto sui grandi manager dello Stato, come
Cagliari. La loro carriera è segnata dal padrinaggio politico, ma nessuno dei padrini ha finora
pagato nemmeno un’ora in qualche San Vittore.

Nel suo ultimo verbale d’interrogatorio, Cagliari spiega al Pm la sua lunga reticenza con il desiderio
di non coinvolgere “collaboratori e amici”. Una fedeltà quasi deamicisiana sullo sfondo di
operazioni che, come emerge anche dalle deposizioni di Garofano, passeranno alla storia quali
monumenti allo sperpero del denaro della collettività.

Abbiamo il diritto di sapere subito se con Gabriele Cagliari la giustizia è stata tortura, cioè
negazione della giustizia, non di appannare la domanda di legalità. Questo no.