1992 luglio 26 Fine dell’ammbiguità

1992 luglio 26 – Fine dell’ambiguità

Il dato è dell’Unioncamere, e fu ricordato più volte dal giudice Falcone. In Italia l’economia
criminale rappresenta il 12% del prodotto interno lordo, con proventi superiori a quelli della Fiat e
dell’Iri messi assieme. La sola unità d’Italia che oggi funziona è quella sporca.
Conveniamo con il presidente del Consiglio Amato; l’esercito in Sicilia può rappresentare il
simbolo della riconquista del territorio da parte dello Stato, può anche liberare le forze dell’ordine
da compiti che con l’investigazione o la repressione hanno poco o nulla da fare. Ma non si creda
che l’esercito aggredisca quel fenomeno economico & finanziario.
La confusione, anche culturale, aiuta sempre e solo la mafia. Gianpaolo Pansa ha magistralmente
raccontato quali guasti abbia provocato lo scrittore Leonardo Sciascia quando sul “Corriere” accusò
di basso carrierismo i presunti “professionisti dell’antimafia”. Tra i quali, incredibile ma vero, Paolo
Borsellino.
La mafia distrugge la democrazia prima che l’ordine pubblico; ammazza gli uomini per disarmare la
società. Riflettiamo un attimo; non riusciamo a ricordare un solo, vero conflitto a fuoco con la
mafia! L’anti-Stato, Cosa Nostra, la più pericolosa organizzazione criminale del mondo, s’infiltra
nello Stato, lo compra, lo sfida, lo sfrutta, lo insanguina senza mai guardarlo in faccia. Anche
perché, non di rado, i due volti coincidono.
Se non ci diremo fino in fondo le cose, se non saremo capaci di profonda autocritica a tutti i livelli
(“Speriamo che il Csm non perda un’altra occasione storica…”ha ad esempio ammonito il giudice
Antonino Caponnetto) non ne verremo mai a capo nemmeno a colpi di decreti, esercito e orazioni di
ogni tipo. La svolta colombiana per il nostro Paese è già un pericolo reale.
L’ambiguità fa più del tritolo. E il malaffare delle tangenti insidia la democrazia non “quanto” la
mafia ma “come” la mafia. Se guardiamo alla qualità della politica, mafia e tangenti non sono
diverse come certi vorrebbero: hanno in comune tanto l’esautoramento dello Stato quanto la
sovranità del denaro illegale.
Se insistiamo sul denaro pubblico, sugli appalti, sui costruttori, dipende anche dall’entità di un
settore non sempre percepito nell’esatta dimensione. Basti pensare che in Italia l’industria delle
costruzioni realizza il 53% del totale degli investimenti (148.000 miliardi su 280.000).
Naturalmente, i politici sono all’oscuro di tutto, ignorano l’ordine del giorno, parlano come tanti
perseguitati alla Sacharov.
L’ex ministro Bernini quasi non conosceva Ferlin, a suo dire un collaboratore fra tanti; lo stesso
Bernini e l’ex ministro De Michelis puntano tutto sul trasferimento dell’inchiesta da Venezia a
Roma; lo stesso De Michelis ha fatto ricorso in ogni sede contro la perquisizione di un circolo
socialista nel nome dell’”immunità” di un suo ufficio annesso. Cremonese non immagina nemmeno
perché i giudici insistano su un errore giudiziario. A Padova, da Gottardo a Testa, da Verrecchia a
Chiesa, si chiedono allibiti come abbia potuto il manager della Grassetto, Giuseppe Agostosi,
inventarsi date, cifre, luoghi, persone, affari, pagamenti effettuati persino a fratelli e mogli quando
“l’onorevole era momentaneamente assente”.
D’accordissimo, aspettiamo le sentenze. Ma qualcuno crede davvero di potersi politicamente
salvare negando il sistema che da Milano al Veneto, ci risultava anche dal barbiere?