1991 aprile 17 Pozzo senza fondo

1991 aprile 17 – Pozzo senza fondo
È già stato detto e scritto tutto sul degrado del sistema italiano. Purtuttavia, il pozzo sembra senza
fondo; un po’ più giù si riesce sempre a sprofondare. Il Parlamento ha perduto ogni funzione di
controllo. Il Governo gestisce rimpasti, crisi, investiture ad interim. Il Capo dello Stato preme per
riforme istituzionali che i partiti rinviano non essendo capaci di un qualche accordo nemmeno
all’interno della coalizione. È la paralisi. In questi casi una democrazia si appella al «popolo sovrano»,
ma è opinione largamente diffusa che le elezioni, nel 1992 o anticipate, non miglioreranno la
situazione. Qui il cerchio si chiude in una reciproca impotenza, per la quale i partiti non vogliono e i
cittadini non possono modificare le regole del gioco. Tutto il sistema risulta prigioniero di se stesso, a
cominciare dalla Costituzione che non favorisce le trasformazioni. Parlamento e Governi hanno
sfruttato la rigidità costituzionale all’unanime scopo di perpetuare il potere: non a caso, con coerenza,
hanno sempre fatto carte false pur di scoraggiare l’istituto del referendum popolare. La partitocrazia,
che detesta i referendum, non ha alcun timore delle elezioni. Nemmeno oggi, perché sa benissimo che
l’elettorato italiano è a sua volta prigioniero: lo hanno spogliato della fiducia nelle Istituzioni
sottraendogli allo stesso tempo la possibilità di un’alternativa. Tra un anno o in anticipo, cambierà assai
poco. La protesta può imboccare tre strade, tutte esposte al rischio di trasformarsi in vicoli ciechi. La
prima: disertare in massa il voto, ma l’astensionismo finirebbe con il premiare proprio i conservatori,
gli apparati, i portaborse, peggio dei partiti. La seconda: votare per le Leghe, ma la storia è già piena di
movimenti anti-sistema che falliscono il passaggio dalla contestazione alla politica. La terza: punire la
maggioranza di Governo scegliendo i partiti di opposizione, ma la stessa sinistra e lo stesso Pds non
hanno ancora esorcizzato decenni di ipoteca comunista in una fase balcanica e bizantina. Il più bravo
rimane in assoluto Andreotti, che se li incarta tutti e magari troverà anche il tempo di scriverci sopra un
libro di successo. Persino un partito istituzionale per tradizione e uomini come il Repubblicano si è
lasciato sorprendere con le mani nella marmellata, insieme vittima e protagonista del gioco delle
poltrone, dei veti, dei dispetti, delle correnti. La crisi del sistema è tanto profonda da mettere a
repentaglio un «tessuto economico ancora sano e una tecnologia d’avanguardia» come assicura
Pininfarina. Forse non resta che sperare nell’Europa, ma per darle in appalto soprattutto il Governo.
17 aprile 1991