1989 maggio 21 A caccia di voti

1989 maggio 21 – A caccia di voti
De Mita ha fatto rimpiangere Goria. Almeno Goria non aveva grandi ambizioni, sapeva di funzionare a
orologeria. Il governo De Mita no: si presentò nel nome della stabilità, delle istituzioni da aggiornare,
della spesa da quadrare, del servizi da europeizzare. Insomma, il ritorno alla Politica maiuscola. Per
irresolutezza, De Mita non è stato secondo a nessuno; paradossalmente ha ripreso l’iniziativa con le
dimissioni, finalmente tempestivo. Il clan demitiano gli ha tolto immagine; la Dc la segreteria di
partito. Ha condiviso con Craxi il successo contro l’oscuro fronte del voto segreto; da solo ha vinto
un’unica volta: contro Indro Montanelli, e mai condanna resterà altrettanto assolutoria. Nessun governo
è risultato così impari ai programmi che si era dato, e dunque ci sarebbe pochissimo da rimpiangere. Se
la stabilità e la governabilità sono quelle del fu governo De Mita, tanto meglio ricominciare daccapo.
Non passava giorno che un ministro non si avventurasse in prima pagina o sul primo Tg a portata di
mano per denunciare la gravità dei problemi di rispettiva competenza e per rivendicare a gran voce
l’urgenza di riforme o di nuove leggi, come se fosse dipeso da chissacchi. Ma tutto ciò a Craxi importa
meno di zero, tant’è vero che non gli stavano bene nemmeno ministri socialisti, presi più volte a
bacchettate. Craxi aveva e ha ben altro in mente. Craxi ha fretta; ha il terrore di uscire ruminato dalla
mediazione democristiana; da Andreotti non ha ancora imparato ad essere leader sotto le pazienti
spoglie del partner. I voti si pesano e soprattutto si contano. Craxi li vuole aggiornare; per farlo aveva
bisogno di trasformare in politiche le elezioni europee. La crisi è lo strumento per radicalizzare il voto;
per evitare ciò che i socialisti temono di più, vale a dire l’esaurirsi della spinta elettorale nella
cogestione del potere. I socialisti hanno un sacco di conti aperti e giocano d’anticipo. Nella divisione
del potere, il vero antagonista è la Dc ma puntano a forzare il consenso a sinistra. Altro che «verifica»
della maggioranza; l’unica verifica in ballo è quella del voto. Se fa melina, Craxi è sicuro di perdere; se
aggredisce, è certo di vincere.
Ai suoi occhi, non appare impossibile ridimensionare i socialdemocratici fino a decretarne la supplenza
al governo. Quanto al partito ex-comunista di Occhetto, Craxi punta sull’effetto calamita di una età
sempre più in movimento ma che il nuovo Pci ha rincorso in affanno. Politicizzare le europee come
preambolo delle elezioni politiche. Più che sapere di chi è la colpa, oggi è importante capire perché.
Questa crisi è figlia di un De Mita più debole nella Dc e indebolito dal Psi, ma soprattutto di un Craxi
tanto forte nel Psi quanto inquieto: non ha i voti sufficienti né per guidare l’alternativa di sinistra né per
trattare alla pari con la Dc. Quando i cinici calcoli di parte prevalgono sulle responsabilità, immaginare
a ragionevole scadenza che la politica si autoriformi aggiornando le istituzioni è pura mistificazione.
Questo strano Paese, che a Palermo guarda ai gesuiti e a Bolzano ai missini, registra la stabilità dei
problemi e l’instabilità dei governi, con incapacità sempre più marcata di dominare la stagione, non
facile eppure portentosa, in cui tutto cambia. Non c’è che da augurarsi di essere governati dall’Europa:
a forza di applicare le norme Cee, forse renderemo superflue le nostre e meno vana l’attesa di riforme.
21 maggio 1989