1988 ottobre 16 Mosca è più vicina

1988 ottobre 16 – Mosca è più vicina
Inaugurata in Urss «Italia 2000»: l’economia avvicina i due blocchi
Una nuova Europa
De Mita propone un «piano Marshall» anni ’90 tra Est e Ovest: «La Cee deve contribuire
decisamente allo sviluppo dei Paesi d’oltrecortina»
Mentre stiamo tutti pensando all’Europa che dal primo gennaio del 1993 si trasformerà in un mercato
«unico», forse nasce un’altra Europa. Più grande, più nel futuro.
Quella che Gorbaciov chiama «casa comune europea, il continente del quale l’Urss è parte integrante».
Quella che il Papa polacco, dinnanzi al parlamento europeo, ha esteso oltre la divisione con l’Est, verso
i popoli slavi, con Praga, Varsavia e il Danubio «polmone della medesima patria».
«Il Danubio è un fiume austriaco e austriaca è la sfiducia nella storia», scrisse Claudio Magris nel
memorabile libro dedicato al fiume della Mitteleuropa. Ma Karol Wojtyla di Cracovia crede che tempi
nuovi siano capaci di vincere la vecchia angoscia, rendendo possibile un’Europa che superi «le
dimensioni della geografia e più ancora della storia».
Anche se nessuno pare in grado di prefigurare il domani, qualcosa di grandioso è in atto, tanto da
rimettere in discussione lo stesso modo di pensare, a Est come a Ovest. Cadono i tabù, se non le
cautele; aumenta la fiducia, se non la certezza; si scommette sulla pace più che investire sul sospetto.
Soprattutto da quando il socialcomunismo di Gorbaciov ha deciso che i dogmi non debbono prevalere
sull’esperienza. Il suo nuovo ideologo, Vadim Medvedev, ha annunciato in questi giorni nuove forme
di proprietà, «sconosciute negli ultimi decenni», sia nei mezzi di produzione che in agricoltura. E a
nome del Pcus ha definito «insostituibile» il mercato in un’economia del ventesimo secolo.
Gli affari sono affari, e gli italiani non hanno perso tempo, precedendo con De Mita gli stessi Khol e
Mitterrand. L’Ovest consuma troppo, fino allo scandalo; l’Est consuma troppo poco, fino allo
sottosviluppo. Il mercato invocato da Medvedev coincide con quello prenotato dagli europei; un terreno
vergine che va finanziato: mille sono i primi miliardi che l’Italia ha concesso per sostenere l’industria
sovietica di beni di consumo.
Tecnologicamente arretrata, prigioniera della burocrazia, isolata dal rublo il cui cambio non dipende da
un sistema internazionale di prezzi ma dallo Stato, l’Urss ha una terribile fame di scambi. L’(ex)
«impero del male» ha bisogno degli (ex) «imperialisti» per far funzionare il sistema e migliorare il
tenore di vita.
I commerci ci sono sempre stati e il più grosso contratto mai stipulato tra il nostro Paese e l’Unione
Sovietica ha oramai più di vent’anni: la Fiat stava passando da Valletta ad Agnelli quando costruì sul
Volga una fabbrica di automobili che diventò città, Togliattigrad. Ma oggi la speranza ha cambiato
l’Urss; la 124 russa non basta più.
L’economia della paura era il vero avversario di Gorbaciov, paura internazionale e ideologica. Perciò
diventa trascurabile sapere se, in questa fase, il volume degli affari che l’Italia e l’Europa concludono a
Mosca sarà davvero pari al clamore che se ne fa oggi. Più del fatturato e delle reali possibilità di
investire, contano il rafforzarsi di un clima, il crollo della diffidenza, il gigantesco sforzo di agganciare

il mondo della concorrenza al mercato di Stato, il tentativo di trasformare in beni il primo autentico
disgelo dal 1945 in poi.
L’Europa spaccata in due a Yalta ritrova coraggio. Con l’ecumenismo del Papa, la riforma di
Gorbaciov, i grandi accordi Est-Ovest, forse la nuova Europa non sarà quella della Cee, ma un’altra.
Oggi ancora un mito, domani un progetto.

ottobre 1988