1987 giugno 18 Il voto triveneto

1987 giugno 18 – Il voto triveneto
Il grande astensionismo non c’è stato; né la valanga di schede bianche o nulle; i giovani di primo voto
non se la sono svignata al mare o in discoteca; l’uso delle preferenze è aumentato. Le Tre Venezie e il
Friuli sanno che con il disimpegno nemmeno la protesta funziona. Mai il voto triveneto è stato così
dinamico, spingendo la politica a correre finalmente dietro a una società tra le più creative, dove il
tessuto economico presenta il suo sensazionale fatturato in oltre quattrocentomila imprese e dove il
«neo-capitalismo di massa» ha sfruttato in pieno l’antica saggezza contadina. Dal mercato di paese
all’export internazionale, dalla stretta di mano alla holding, Friuli, Veneto e Trentino hanno realizzato
la trasformazione di un’area, l’Italia del Nordest, che oggi si riequilibra anche politicamente.
All’interno della stessa Dc nulla appare più scontato, e si avvertono anzi segni di novità da non
trascurare. «Sono sempre stato anomalo al potere e al partito», dichiara l’ex sindaco di Padova Settimo
Gottardo in un’intervista al nostro Maurizio Refini, dopo essere stato eletto deputato con oltre
settantamila preferenze. «C’è una diversa cultura della gente, – aggiunge – vogliono votare chi
conoscono». Un radicamento del voto che trova l’esempio più voluminoso nel collegio senatoriale di
Bassano, dove Piero Fabris ha portato la Dc al 60% facendo impallidire anche il ricordo del «feudo di
Bisaglia». Tendono a contare più che in passato la persona, il senso di appartenenza, il contatto porta a
porta, i gruppi sociali, i movimenti, mentre sono in irreversibile declino gli apparati, i portaborse, il
controllo delle segreterie. Non è un cambiamento da poco per quel ceto parassitario del consenso che
ha sempre sognato di manovrare i voti come le pseudo tessere di partito e che guarda con malcelata
rassegnazione all’irruzione di un’informazione libera e pluralista. Quando, confrontando burocrazia
con riconversione industriale, afferma che «Roma è la periferia perché Padova è più avanti di Roma»,
Gottardo non fa sua la filosofia della Liga Veneta, ma certo esprime un’istanza diffusissima, non
sappiamo se più nel Veneto o nel Trentino o in Friuli. E cioè il voto politico a favore di chi si mostra
attento a rappresentare gli interessi generali a partire dalle Regioni, la base, non dal Centro,
un’astrazione. Il Triveneto ha ratificato domenica anche un rivoluzionario mutamento all’interno della
sinistra, con il Psi oramai a ridosso del Pci. Lo ha superato in Trentino-Alto Adige, lo ha quasi
agganciato in Friuli-Venezia Giulia, ne ha più che dimezzato il distacco nel Veneto. Se si aggiunge il
4% dei Verdi e la sostanziale tenuta di una «Liga» extra-partitica nonostante il suo azzeramento
parlamentare, l’immagine oleografica di un Nordest statico, pigro nel cambiare simbolo e fedele nei
secoli ai soliti nomi, non ha più il minimo senso. Con un segnale d’allarme in Friuli dove ha fatto i suoi
senatori a Pordenone, in Carnia e nella longobarda Cividale ma ha clamorosamente perso voti e seggio
a Udine, la Dc resta forza stabile del Triveneto e si rafforza nel Veneto. Ma la dialettica di potere non
sarà più quella di prima, nemmeno in sede regionale e locale, dopo l’exploit dei socialisti. Si apre una
fase nuova non soltanto a Roma. E come a Roma richiederà a tutti i livelli il sacrificio del particulare a
interessi comuni. Basterebbe che i politici guardassero alla società, dove la frammentazione
imprenditoriale ha prodotto lo sviluppo collettivo del Nordest. Gestire la sintesi si può.
18 giugno 1987