1987 dicembre 23 La svolta

1987 dicembre 23 – La svolta

L’altro Consiglio era stato utile; questo è stato nobile. Lunedì 21 dicembre 1987 non è data della quale
la Città si debba vergognare.
Beninteso, non per il tipo di soluzione in sé. Senza entrare nel merito del «sindaco esploratore», si deve
riconoscere che il «ceto politico» ha dopo tre mesi riabilitato almeno i problemi. Non rissa, contrasti;
non meschinità, tensione.
«Si è alzato il tono del Consiglio» ha sussurrato Visentini durante una pausa. «I partiti non sono
sciagura, – ha con veemenza rivendicato Pellicani – ma non ci sta bene che i partiti occupino tutte le
stanze».
Venezia non deve pensare ai Dogi, che barba. Ma Venezia è stata più volte un laboratorio di politica,
come la Firenze di La Pira. Non ha bisogno di «petulanti moralisti», per usare un’espressione di
Vittorio Strada, che definisce «disastrosa» l’ambizione nutrita da certi intellettuali di «redimere
l’umanità».
Questa Città è una fortuna per tutti.
La complessità dei suoi problemi richiede «fantasia» (parole di Pellicani), «servizio» (Casellati),
«intelligenza politica» (Rigo), «azione» (Visentini), «autocritica» (Degan). Le scelte non schiacciano;
sono un’occasione per chi ha voglia e forza di reinventarsi il modo di amministrare.
Venezia è una Città singola; non deve spaventare che richieda un Comune altrettanto originale. Che
senso ha imbalsamarla da cima a fondo in formule?
L’emergenza della Città sta ora al «nuovo» come le riforme istituzionali stanno a intese che in campo
nazionale attraversano orizzontalmente maggioranza e opposizione. Se rottura degli schemi può essere,
che lo sia per tutti o per nessuno.
A Venezia il centro del Consiglio è socialista. Socialisti (Rigo) avevano aperto la crisi di Laroni;
socialisti (idem) hanno spianato la strada al sindaco pro-tempore candidato da Visentini. Sono stati
protagonisti persino i socialisti assenti.
Ci ha confidato Pontel: «Da Roma ha telefonato il Capo. Insistere fino alla fine su Laroni». Alle prese
con la cicuta, Socrate doveva presentarsi con una faccia analoga. Strano: Venezia è l’unica entità che
resiste al decisionismo craxiano.
«Forse De Michelis ha perso il polso di questa Città» ha protestato Boato. Lo slogan di De Michelis («è
in atto uno scontro tra il partito del fare e quello del non fare») ha occupato lo spazio di una grande
diga culturale, di fronte alla quale l’unica delegittimata risultava l’indifferenza.
«De Michelis è un vero pragmatista – racconta Visentini -. Dopo aver preso in giro la sua Expò su
Repubblica, mi ha abbracciato incontrandomi! Poiché è geniale, con lui ci si può sempre accordare».
Al Psi come «partito», la Dc ha creduto più degli stessi socialisti. Laroni non aveva più il suo partito; la
Dc era il partito di Laroni, con una lealtà e/o impotenza alla quale nemmeno la notte ha portato
consiglio.

Visentini, presidente del Pri – non dimentichiamolo -, non cerca una giunta di sinistra. Se ci avesse
davvero pensato, a quest’ora l’avrebbe già concordata a Roma con Craxi e fatta a Venezia con Pellicano
e Boato. Quando pensa ai comunisti, il professore immagina «estensioni» di responsabilità, un ruolo
nuovo difronte a 7/8 grandi questioni.
Nonostante il rischio di un paradossale isolamento, e l’allarmata consapevolezza d’esso (presente in
Pasinetti, Salvadori, Miraglia), la Dc è rimasta allo starter, rinunciando a correre come gruppo di 17
consiglieri. Poteva giocare d’anticipo, promuovendo il pentapartito a guida-Visentini; ha pagato
l’iniziativa del Pci, capace di archiviare il suo De Piccoli per non isolarsi a sua volta.
Alla radice di questo omissis della Dc sta un errore di prospettiva: l’aver creduto che la
«militarizzazione del rapporto con Roma» (così definita dallo stesso Degan), avesse sanato all’interno
del Psi un dissenso che non si limita più alla «sceneggiata interpersonale» (espressione usata da Rigo)
ma intacca questioni di fondo, basti pensare alla salvaguardia e alle cosiddette «opere fisse».
Adesso il Pci chiede strada, la Dc non gliela rifiuta, tanto che Zorzetto parla di possibile «risposta a
Milano». Laroni si è congedato con molto fair play, ma Roma ha «sospeso» Rigo.
Se tutto è in movimento, era doveroso «esplorare» il nuovo. Casellati farà il boy-scout con molta
prudenza perché il problema non era di ratificare la fine del quadripartito già cremato da tempo, quanto
di evitare le elezioni nel nome di un Governo. Chi c’è, batta un colpo.
dicembre 1987