1986 dicembre 7 I padri fondatori del qualunquismo

1986 dicembre 7 – I padri fondatori del qualunquismo
“La storia dell’umanità è la storia della lotta tra la folla degli uomini qualunque e la ristretta cerchia dei
politici di professione”. Era il manifesto del qualunquismo, fondato quarant’anni fa da Guglielmo
Giannini, autodidatta con monocolo, napoletano di Pozzuoli. E un altro napoletano aveva pubblicato il
settimanale «La parola del fesso», con il quale si dava liberissimo accesso alla protesta dell’uomo della
strada, ambulanti, lavandaie, tabaccai, vetturini, passanti, poveracci. Oggi, con un sistema politico
clamorosamente in ritardo rispetto alle trasformazioni della società, i partiti non trovano di meglio che
rispolverare l’accusa di «qualunquismo» ogni volta che la gente scende in piazza o si arrocca in fazioni
per chiedere la soluzione di problemi da troppo tempo all’ordine del giorno. I partiti sembrano volersi
mettere «al disopra della mischia», secondo la famosa formula, senza avere né la vocazione
intellettuale né il mandato costituzionale per farlo. I partiti debbono per definizione stare in mischia
soprattutto quando la gente, sentendosi poco rappresentata, prende le scorciatoie della protesta
spontanea. La sfiducia non è di destra né di sinistra perché i veri padri fondatori del qualunquismo sono
gli stessi partiti, notai di tutto ciò che non funziona. Respingendo la sfiducia sulla scuola, Craxi precisò
in Parlamento che la sua era stata solo una «difesa politica» tanto che la Falcucci se ne andò con
quattro parole in croce: «Non ho niente da dire, sono un’analfabeta». Non serve ricorrere alle
opposizioni per portare le pezze giustificative della disaffezione di massa: la denuncia più serrata viene
da chi governa. Il ministro Spadolini parla di «sfascio dello Stato, di spettacoli di lacerazione, di
impotenza, di degrado istituzionale». Il ministro Visentini ha in più riprese definito il fisco «uno
schifo» e «un casotto». Il leader del partito di maggioranza, De Mita, chiede «la modifica del
Parlamento» e condivide la durissima analisi del gesuita Bartolomeo Sorge sulla «degenerazione
partitocratica», mentre il suo portavoce Mastella lamenta una «partitocrazia annidata nello stato
sociale». Cinque anni fa Mazzotta, neopresidente della Cassa di risparmio delle Province Lombarde,
equiparò il degrado dei partiti a un «cesso», ma è opinione diffusa che nel frattempo il w.c. sia
peggiorato. Se, di fronte alla immensa crescita di domanda di democrazia e di efficienza, le cose stanno
così non si capisce perché studenti dell’86, professori, pensionati, giudici, medici, contribuenti,
camionisti eccetera debbano essere alla svelta liquidati per scarso senso dello Stato. In democrazia lo
Stato non è il Moloch di Hobbes che solo ha il potere di giudicare del bene e del male; lo Stato non è
nemmeno un’astrazione; lo Stato si qualifica per come viene rappresentato e amministrato. Il difficile,
insegnava Luigi Einaudi, non è trovare le risorse ma usarle bene. Usatele bene, e il neo-qualunquismo
morirà come il vecchio.
7 dicembre 1986