1986 dicembre 24 Viene dai giovani il miglior segno dell’anno
1986 dicembre 24 – Viene dai giovani il miglior segno dell’anno
Quando  i  «ragazzi  dell’85»  si  radunarono  a  Napoli,  il  cardinale  Ursi  definì  la  loro  manifestazione
«decorosa  e  apartitica,  al  fine  di  ottenere  che  vengano  messi  in  grado  di  studiare  di  più  e  meglio».
Leader  degli  studenti  francesi  dell’86,  Isabelle  Thomas  ha  detto:  «Oggi  siamo  propositivi,  vogliamo
delle cose. Cambiare senza distruggere nulla».
Dall’Europa alla Cina il tam tam della protesta ha toccato le più disparate latitudini ed è da scartare a
priori la tentazione di dare significato omogeneo a fatti sconnessi. Ma un legame esiste, che supera date
e  luoghi:  l’aspirazione  delle  nuove  generazioni  a  far  precipitare,  come  in  una  reazione  chimica,  la
pretesa degli Stati di organizzare l’avvenire dei giovani secondo burocrazia.
«La società in Urss è ancora politicamente inerte», ha affermato lo storico sovietico Roy Medvedev in
un’intervista alla «Stampa». Bene, dove l’inerzia non è sistema nemmeno in un sistema, comunista, le
parole  d’ordine  sono  «abbasso  la  burocrazia»,  «applicate  la  democrazia»,  «salvaguardate  i  diritti
umani». Questo sta scritto nei cartelli degli studenti cinesi.
Quando gli studenti italiani invocano una scuola più funzionale al mondo del lavoro; quando i francesi
temono una università per sole élites; quando i giovani europei si battono per l’ambiente; quando gli
universitari di Sciangai chiedono più «diritti», le distanze sembrano incredibilmente accorciarsi. Con
una fondamentale differenza: che mentre rappresenta l’essenza stessa della democrazia, la critica risulta
destabilizzante negli Stati totalitari.
A  Parigi  gli  studenti  erano  seguiti  dai  genitori;  a  Pechino  il  governo  lancia  appelli  alla  «stabilità  e
all’unità». Da una parte la fiducia, dall’altra la paura.
Certo tutto può essere usato; la cattiva politica e la cattiva ideologia sono pronte a manipolare anche la
migliore delle intenzioni. Ma il pericolo non depaupera il lievito che dai giovani passa alla società.
Dentro i meccanismi dello sviluppo e del consumo, avvertiamo spesso un senso di marginalità, quasi
che tutto accadesse a nostra insaputa, in uno stato di sonnambulismo dove si perde la nozione della
responsabilità  individuale.  I  giovani  sono  la  punta  di  un  iceberg  che  chiede  di  «cambiare  non  di
distruggere», che aspira a dare un valore meno formale alla partecipazione.
Quando  la  gente  rinuncia  ai  diritti  commette  un  suicidio  politico,  raccomandava  don  Sturzo
quarant’anni fa. Non a caso una Chiesa sempre meno Istituzionale e sempre più presente sul fronte delle
nuove  e  vecchie  povertà  sta  assumendo,  soprattutto  nella  realtà  parrocchiale  di  base,  una  presenza
spesso d’avanguardia nelle istanze dell’intera società.
Sia che guardino alla scuola sia che ispirino un progetto di democrazia, i giovani sono un conto aperto,
l’unico  modo  di  dar  vita  alla  nostra  storia  quotidiana.  Che  l’86  se  ne  vada  lasciandoli  all’ordine  del
giorno, è un buonissimo segno.
dicembre 1986