1967 Vinicio da capocannoniere a riserva

1967 (Supersport)

Vinicio da capocannoniere a riserva!

– La psico-guerra con Jair
– Il contropiede di Herrera
– I Ras non collaborano

« Fino alla partita con il Venezia avevo continuato a sperare, a lottare per un posto: adesso ho
chiuso, mi sono messo l’anima in pace. Mi allenerò come sempre, perché sono pagato dall’Inter e
sono un professionista: il mio dovere continuerò a farlo, ma per me il campionato è finito. Sto già
pensando al prossimo, alla nuova sistemazione che mi permetta di dare quello che sono convinto di
poter ancora dare. La svolta definitiva è stata la partita con il Venezia: ho fallito anche quella prova
ed ora non posso più parlare, non posso più chiedere a Herrera di darmi un’altra chance, una
occasione per rifarmi: l’Inter non ha nessun bisogno di Vinicio ». L’anno di Luis Vinicio si
conclude nella maniera più triste che si possa immaginare: con un bilancio nettamente fallimentare.
Sotto tutti gli aspetti. Perché Vinicio aveva accettato di lasciare il Vicenza? Prestigio e denaro. Il
brasiliano cercava all’Inter « qualcosa di più »: l’ambizione di chiudere una carriera ruggente con lo
scudetto sul petto e la Coppa all’occhiello. Scudetto e Coppa che significavano anche premi
riconosciuti in provincia. Di tutto ciò, oggi come oggi, a Vinicio non è rimasto nulla. La maglia di
titolare gli è stata sfilata di dosso quando ancora il campionato non era cominciato. In queste
condizioni, anche l’affare finanziario sfuma. Per guadagnare molto, all’Inter bisogna giocare o
come minimo essere convocati: se queste ipotesi si dileguano, alla fine, l’affare migliore di Vinicio
sarebbe stato quello di rimanere a Vicenza. Il fallimento quindi è totale. Il sorriso è sparito dalle
labbra del brasiliano che trova ormai in ogni problema motivo di abbattimento e non di reazione.

Quello che era stato l’unico colpo vero della campagna acquisti; l’uomo che per nove mesi si era
fatto applaudire su tutti i campi d’Italia; il goleador dei 25 gol; l’unico giocatore del Vicenza che
avesse giocato tutte le 34 partite di campionato; Luis Vinicio, centravanti di sfondamento, da
capocannoniere, in novanta giorni, sprofonda tra le riserve dell’Inter. Il pubblico non lo ha mai
fischiato. Ha lasciato che sbagliasse in pace, senza rendergli la vita più difficile. « Il pubblico – dice
Vinicio – è l’unico amico che mi è rimasto ». L’isolamento si è fatto tortura per lui: è il bambino
che teme il buio e ignora dove si nasconda l’interruttore. Il pubblico non lo fischia perché è
difficile, impossibile, fischiare un giocatore della simpatia e della correttezza di Vinicio, ma credo
che in questo atteggiamento comprensivo della gente ci sia anche l’espressione di dubbio, di una
mancata certezza: la gente si chiede perché. Perché l’Inter, che non possiede un vero centravanti,
non ha bisogno di Vinicio? Perché Vinicio, acquistato fisicamente integro, non riesce a essere
nemmeno il fantasma di se stesso? La critica ha risposto « Vinicio non riesce ad adattarsi al gioco
dell’Inter ». Non ci voleva molto a capire, dati i risultati della sua esperienza, che l’adattamento non
c’era stato. Ma la gente continua a non capire: vorrebbe conoscere le ragioni per le quali
l’adattamento non c’è stato.

Vinicio non ama la polemica. Non la vuole. Non ce l’ha con nessuno, ma non rinuncia a
spiegare, dal suo punto di vista, le ragioni dello strano fenomeno di cui stato protagonista. Alle
domande che gli ho posto non si è sottratto.

1) Sei certo che alla base di questa situazione non ci sia un decadimento fisico ben accentuato?
Risposta: « Non accuso nessun disturbo, non ho difficoltà a mantenere il peso forma: sto bene,

come l’anno scorso ».

2) Spesso dai la sensazione di essere preso in contropiede dall’azione dei compagni, di essere
cioè al posto sbagliato nel momento sbagliato: non credi di accusare, pur integro fisicamente, un
certo appannamento nei riflessi?

Risposta: « Tutte le mie incertezze, spesso pacchiane, da bambino inesperto, sono dovute ad una
insicurezza psicologica: io ormai ero abituato a giocare per fare dei gol e basta, non a giocare per
mantenere il posto in squadra ».

3) Forse non hai il ritmo dell’Inter: l’Inter non è il Vicenza, ti pare?
Risposta: « Sono preparato molto bene e, quando gioco, corro dieci volte di più di quanto non

facevo a Vicenza! E’ che corro a vuoto per il nervosismo che mi prende ».

4) Non credi di essere inadatto al contropiede di Herrera?
Risposta: « Questa è l’unica cosa che non accetto nemmeno di discutere: ma, per piacere, come
giocavo io nel Vicenza? Forse appoggiato da mezzali, mediani? Giocavo in manovra? Quando mai
ci capitava di fare una partita d’attacco, in massa? Mai! Io nel Vicenza partivo sempre in
contropiede, il più largo e classico dei contropiedi, con lancio sull’ala e cross o lancio direttamente
su di me. Per anni ho fatto solo del contropiede e gol in contropiede… E l’anno scorso non ho mai
saltato una domenica ».

5) Credi che i ras della squadra preferiscano Jair a te?
Risposta: « Quando un gruppo di giocatori è assieme da molto tempo, è difficile per l’ultimo

arrivato inserirsi: soprattutto se ha la mia età ».

La diagnosi di Vinicio, fatta da Vinicio, è molto chiara, anche se incompleta e sfumata. In
sostanza il brasiliano nega decadimento fisico o, più specificatamente, di capacità-riflessi; nega di
essere inadatto tatticamente alla formula del contropiede. Sostiene di essere paralizzato dalla
concorrenza con Jair e, infine, pur senza scendere a dettagli, ammette indirettamente la non-
collaborazione dei « grandi elettori » della squadra. Concorrenza e isolamento quindi sono i due
fattori ai quali Vinicio attribuisce il fallimento « iniziale » della sua avventura nerazzurra. Dico
« iniziale » perchè, a questo punto, nessuno è più rassegnato di Vinicio e più conscio di lui che
Herrera qualche possibilità gliel’ha pur concessa. Ricordo a questo proposito un episodio
significativo. Alla vigilia della prima partita con il Vasas, Vinicio seppe che non avrebbe giocato.
Fu un colpo assai duro, perché era convinto che Herrera lo avrebbe fatto giocare assieme a Jair.
L’esclusione lo annichilì.

Ricordo che ero ad Appiano Gentile quando Vinicio fermò Herrera nella grande hall della

« Pinetina » e chiese un colloquio. Parlò venti minuti. Disse ad Herrera che lui, Vinicio, non era un
ragazzino, che non poteva essere trattato come una qualsiasi riserva della De Martino, che non era
venuto via da Vicenza per fare quella fine. So anche che Vinicio era quasi sul punto di abbandonare
il ritiro dell’Inter. Herrera cercò di tranquillizzarlo, di spiegargli che l’Inter avrebbe avuto ancora
bisogno di lui. Vinicio ascoltò, ma non fu questo che bloccò la crisi. Fu un caso fortuito: l’incidente
all’occhio di Jair. Una brutta botta che impediva al mulatto di giocare nel derby. A Vinicio
dispiacque che l’occasione gli fosse offerta da un fatto del genere: comunque giocò il derby. Non
bene e senza fortuna (traversa e paratissima di Barluzzi). Una occasione. L’ultima gli è stata data
contro il Venezia. Non gli è andata bene nemmeno quella. « Ed ora — come dice lui — non posso
più dir nulla: le occasioni le ho avute, non sono riuscito a sfruttarle ». Il suo atteggiamento, da una
fase di covata ribellione, si è trasformato in rassegnata attesa. Quello che farà ancora lo farà perché
altri lo vorranno. Ma il movente, in lui, si è spento. A quasi trentacinque anni (anche se
l’Almanacco del Calcio a pag. 41 lo dà nato nel… 1832!); dopo aver assaporato l’intensissima gioia

del miglior cannoniere dell’anno, un giocatore può ancora lottare. Sa ancora lottare, ma soltanto
contro gli avversari. Vinicio, acquistato quando era certa l’accoppiata con Pascutti per impostare
(sono parole di Herrera) la « nuova Inter » non appena ha capito che l’avversario non era « fuori »
dell’Inter, ma « dentro »; che per giocare doveva vincere da solo la « concorrenzia », la psico-guerra
con Jair, più giovane di lui di dieci anni; quando si è reso conto di questo, è crollato. Quando ha
capito, prima in maniera sfumata poi chiaramente, che la vecchia guardia, per vecchia amicizia,
faceva, in campo e fuori, il tifo per Jair, allora ha abbassato il capo e si è dato per sconfitto. Se
anche fosse documentabile un certo calo fisico, la particolare situazione d’ambiente ha funzionato
da acceleratore. A Vinicio oramai non rimane che l’anno nuovo. Non quello che comincia il primo
gennaio, ma quello che si aprirà a giugno.