1967 aprile Jair e Vinicio se ne vanno

1967, aprile

Se ne vanno

Luis Vinicio, l’ex-leone; Jair DaCosta, ex-freccia, se ne vanno. Due brasiliani, due punte,
trentacinque gol all’anno, quattrocento milioni sul mercato, lasceranno l’Inter di Helenio Herrera
alla fine del campionato. Su Vinicio non esistono dubbi, su Jair qualcuno sì. Ma non sono in ogni
caso dubbi di Herrera. Il Mago già da un pezzo deciso di poter far a meno di entrambi. Vinicio e
Jair lo sanno. Tra i due c’è una differenza di età di circa dieci anni, ma nei loro sguardi si leggono le
stesse cose. Irritazione, polemica, delusione, rancore. Quattro occhi come quattro indici puntati
accusano Herrera. Dice Vinicio: « È stato l’anno più triste e amaro della mia carriera: tutti sono
convinti che io abbia perduto una battaglia dopo aver lottato, dopo aver combattuto ad armi pari.
Ma non è così: il vento si è girato subito per me. Se avessi immaginato minimamente la fine che
avrei fatto, non avrei accettato, dico mai, il trasferimento all’Inter. Sono stato letteralmente bruciato
da un sogno che mi occupava da molto tempo. Andare all’Inter per me era qualcosa di più di una
specie di promozione sul campo o di un affare finanziario: era quasi una cerimonia, una laurea
come tante che ho visto nelle antichissime aule dell’Università di Padova. Con il professore in toga
che ti infila al collo la corona d’alloro. Passare all’Inter alla mia età, dopo tanti anni di lotte e di
gol, per me significava anche questo. Ma Herrera non conosce l’alloro. Non conosce nemmeno la
parola se è vero, com’è vero, che non mi parla da almeno quattro mesi! Io ho capito una cosa sola
quest’anno: Herrera lo si può soltanto stimare, ma amare mai, non credo ». Dice Jair: « Ho perso la
voglia, la grinta, il desiderio di lottare per un posto in squadra. Ora aspetto, quasi rassegnato: se
capita capita, sennò pazienza. Non sarebbe questo il mio carattere, lo sanno tutti, ma sono stato
troppo in concorrenza. Uno può avere un compagno che gli può prendere il posto: può lottare per
conservarlo, ma non può lottare contro due, contro tre per tutto il campionato. Prima Vinicio, poi
Domenghini, poi Cappellini, come si fa? Poi, quando mi sembra, nonostante le continue altalene, di
cominciare a entrare in forma sul serio, ogni volta che ho giocato bene, zac, mi sono visto togliere
di squadra! C’è stato un mio critico feroce che, dopo la sconfitta con il Torino, diede un voto
positivo soltanto a me fra i cinque dell’attacco dell’Inter. Ma non c’è niente da fare. Non servo più,
evidentemente ». Due situazioni molto diverse, due atteggiamenti quasi identici: Jair e Vinicio
portano sulle spalle questo campionato come una maledizione. Dopo la chiusura delle frontiere
decretata fino al ’70, Herrera, che aveva già da un pezzo messo Jair sulla lista dei cedibili, tentò il
ripescaggio commerciale del mulatto scatenando la concorrenza tra lui e Vinicio. Ora, a qualche
mese di distanza, Jair e Vinicio, pur in posizioni di forza diversissime, si sentono bruciati da uno
stesso destino. Il destino-Herrera. E l’Inter che ha già un Luis Suarez crepuscolare, si avvia sulla
strada della totale autarchia. Via Vinicio, via Jair, via Suarez: fra un anno che ne sarà delle falangi
nerazzurre ridotte senza idoli esotici? Se Angelo Moratti non bloccherà il tempo la
« proliferazione-dei-Domenghini », l’Inter si ritroverà più italiana, ma anche più proletaria. E’
questo che sogna Herrera?

Quando l’Inter, un paio di settimane fa, giocò a Roma contro Oronzo Pugliese, Herrera
mantenne fino all’ultimo la alternativa fra Bicicli e Jair. Suarez aveva accusato un improvviso
attacco renale durante il viaggio verso Roma: Bicicli significava copertura, Jair contropiede e
maggiore potenza offensiva. Herrera continuò a dire che avrebbe giocato Jair. A Corso invece, in
via strettamente riservata, disse che avrebbe giocato Bicicli. Credo comunque che le idee chiare
proprio non le avesse, perché all’Hotel Quirinale, esattamente alle 12 di domenica, tre ore prima

che Inter e Roma scendessero in campo, Angelo Moratti mi disse: « Ho parlato adesso con Herrera:
dice che non ha ancora deciso fra Bicicli e Jair! Vedremo… ».

La risposta di Jair

Imbarazzo di Helenio Herrera, più che dettato da pretattica, doveva quindi, alla luce di questa
rivelazione di Moratti, ritenersi autentico. La decisione finale fu comunque per Bicicli e Jair, che
aveva subìto da vicino questa continua torsione psicologica, si ritrovò alla fine sfiatato, quasi senza
capacità reattive, rassegnato. Credo che quell’episodio romano fotografi un po’ la particolare
situazione del mulatto in questo campionato: concorrenza con qualcuno, incertezza, scelta contraria
di Herrera, crisi di fiducia, allenamenti con tono agonistico strettamente necessario, non certo tirati,
sorretti da una spinta: « D’ora in poi non gioco nemmeno in De Martino: a ventiquattro anni non ho
voglia di andare a rischiare per nulla! Mi alleno per la prima squadra: se servo, mi chiamino; se non
servo, mi lascino fuori! Che debbo fare? ». Sempre a Roma, nell’identica occasione riferita prima,
un gruppo di tifosi, poco prima che cominciasse la partita, vedendolo infilare in borghese il
sottopassaggio che porta al parterre gli urlò: « ’A Jair, lassa perdere er Mago! L’anno prossimo vié
con noi: qua c’è sempre er sole, sei come in Brasile! ». Jair alzò la testa, fece un cenno di saluto
con la mano rispose: « Speriamo: io ci verrei! ». È quello che Jair sta pensando in questi giorni, da
molto tempo oramai. Jair spera ancora in Moratti, spera che il presidente si ricordi che fu lui, la
filiforme freccia nera, a tenere a battesimo primo scudetto di Herrera. Spera in Moratti, ma sa che
Herrera ha già tirato da un pezzo un segno sopra il suo nome. Se non è già stato ceduto l’anno
scorso è soltanto perché non tutte le combinazioni si combinano sulla scacchiera di Italo Allodi;
perché Herrera non ebbe il Pascutti che voleva; perché anche il blocco degli stranieri aveva
automaticamente aumentato le quotazioni del più giovane straniero in circolazione in Italia. Ma
Herrera è sempre Herrera. L’opinione non devi averla cambiata, anche perché Jair non ha avuto la
fortuna, la decisione, la rabbia di fargliela cambiare con un ritorno folgorante alla forma di qualche
anno fa. A meno quindi di un intervento « sanatorio » di Moratti, la posizione di Jair è sempre la
stessa: per Herrera si tratta di un cedibile sul quale non vale la pena di insistere. Il lato un po’ strano
della faccenda è proprio che Herrera, specialista in ricuperi spesso portentosi di giocatori, abbia
perso tutte le speranze sul ricupero di Jair. Se per due anni è stato determinante in Coppa e
campionato; se ancora oggi ha molti « amici » in seno alla squadra; se è in fondo l’unica ala vera
che abbia avuto a disposizione l’Inter in questi ultimi anni, perché in Herrera è stra-maturata l’idea
della cessione? Lo scorso anno Jair si trovava in condizioni molto più incerte e difficili: la
condizione fisica era ridotta al quaranta per cento dalla sempre incombente slogatura alla spalla che
aveva assunto una cronicità esasperante. Ma dopo, dopo la risoluzione completa del fatto clinico,
Jair, che ha soltanto ventiquattro anni, avrebbe dovuto ritrovare facilmente la strada del ricupero
pieno. Perché questo non sia caduto può spiegarsi con un decadimento generico di forma, ma la tesi
non sembra esauriente. Come non sempre esauriente la tesi secondo la quale Jair sarebbe un
« arrivato » e quindi si ritroverebbe impoverito, proporzionalmente, di spinta economica. È mai
possibile che un giocatore che aveva disposizione due armi due (scatto e tiro), le abbia perse
entrambe, così, per spegnimento progressivo e che, alla sua età, non sia possibile assolutamente
ritrovare quelle qualità? In questo senso il naufragio di Jair Da Costa non è semplicistico come si
vorrebbe far credere da molti. La realtà comunque è questa: la cessione è quasi scontata. Dico quasi
perché, ripeto, l’arbitro è sempre Moratti. Jair in fondo spera sempre di restare all’Inter: spera in un
mutamento d’atmosfera, in un reinserimento stabile cioè, ma l’idea della cessione non è che gli

turbi i sogni. Horst Szymaniak ti ha fatto giungere offerte favolose dagli Stati Uniti; altri hanno
parlato di Varese: un giocattolo di prestigio nelle mani di Giovanni Borghi. Ma sono soluzioni, la
prima assurda data l’età del mulatto; la seconda condizionata soltanto ad un ingaggio-stipendio-
premio che forse esula dalle prospettive del Varese. La più probabile direttrice di Jair sembra
sempre la Roma di… Joaquin Peirò. Le strade nerazzurre sono infinite: dopo aver rinunciato a Peirò
sull’altare di Jair-Vinicio, Herrera ha sacrificato entrambi in una concorrenza che ha fatto il gioco di
Domenghini (e Cappellini). Jair è giovane, ma perduto per ora la voglia di sorridere: perdere la
piazza dopo 5 anni di Inter è caso quasi unico. Finora con Herrera il sistema aveva funzionato
diversamente: o via subito o così rimane sempre.

La panchina di Vinicio

Sulla strada di Luis Vinicio non c’è il « soccer-Usa », non c’è il commendator Borghi, non c’è la
Roma di Peirò: c’è ancora, come lo fu ieri, il Vicenza. Con novantanove virgola nove probabilità su
cento Vinicio ritornerà a Vicenza… « e – mi ha già detto – non vincerò la classifica cannonieri, ma
sono sicuro che i miei quindici gol li potrò fare ancora! ». Vinicio è già da tempo in clima di totale
smobilitazione, tanto il pensare alla trionfale cavalcata dell’anno scorso, sembra un gioco statistico,
con un altro personaggio, con un altro giocatore. Eppure Vinicio con l’Inter ha ancora qualche cosa
da sistemare.

1) il contratto previsto al momento dell’acquisto era biennale: come verrà risolta ora la

questione?

2) da molto tempo ormai Herrera non lo convoca: i premi quindi, sui quali contava molto

Vinicio, sono ridotti quasi a zero. Su questo punto nascerà battaglia?

Saranno gli ultimi atti « amministrativi » di un anno senza storia per il vecchio « leone »: « Un anno
– mi ha detto – che potrebbe costarmi caro sotto tutti i punti di vista. Io non ho l’età di Jair, io mi
sto giocando le ultime chances: ho perso un anno di gioco, un anno di carriera e forse, chi lo può
sapere ora, qualcosa di più ». Se ho ben capito e anche se Vinicio non ha voluto ammetterlo, sono
sicuro che il discorso era questo: se fossi rimasto a Vicenza, via Campatelli, sarei diventato
giocatore-allenatore e avrei cominciato nella migliore maniera possibile la nuova carriera. Vinicio
non ha tutti i torti. Sulla retina torva gli vedo stampata l’immagine di Herrera. L’unica maniera di
farlo sorridere oggi è di ripetergli quella che lui considera la miglior barzelletta della sua carriera:
« Sei fallito perché non ti adattavi a ritmo dell’Inter ». Allora, solo allora, sorride. Con una guancia
sola.