1965 Napoli-Torino Altafini in gabbia

1965 (Supersport)

Napoli – Torino

Altafini in gabbia

NAPOLI – Non ricordo la partita. Non ricordo il pubblico. Non ricordo il campo. Non ricordo chi
ha giocato. Ricordo soltanto un piede, una gamba, un giocatore: Bean! Ricordo un minuto e nessun
altro: il ventiquattresimo. Il minuto « fatale » per il Napoli. Per una punizione concessa da Sbardella
ad Altafini (caricato da Puia) una palla tesa, pulita, filtrava come una freccia tra le piume attraverso
dieci gambe della difesa di Rocco: le ultime a non arrivarci furono quelle di Poletti che si sedette a
terra. E a questo punto ricordo, quasi incredulo, il piede destro di Bean a quattro metri dalla porta di
Vieri. Bean solo, composto, coordinato, pronto, calcia sopra la traversa con violenza inutile,
assurda. E’ il minuto della partita, è il « segno » che il Napoli non sarebbe più passato contro un
Torino compatto, forte, rinato dopo la catastrofe con l’Inter.

Dal nostro inviato

Il Torino si è difeso come piace a Rocco: con grinta e con intelligenza, con vigore ma senza
affanno. Un Torino che, giocando settanta minuti con Fossato strappato… all’ala, ha
orgogliosamente tolto un punto ad un Napoli al quale sono mancati troppi elementi per essere
grandissimo come finora era sempre stato dinanzi al pubblico più vulcanico d’Europa!

« Hai mai visto il Napoli del boom-Fiore? », chiesi a Nereo Rocco tre ore prima che cominciasse
la partita. Il paron tolse il mento dalla mano destra e mi rispose: « Non l’ho mai visto, ma conosco
tanto bene Sivori e Altafini che credo di poterlo affrontare ugualmente! ». C’era Ferrini seduto
vicino a noi.

« Sarà Ferrini a marcare Sivori? »
« Sì, credo di sì! Anche se quando gli ho detto di non stare mai un metro lontano da Suarez, nella

prima partita con l’Inter, Suarez non lo ha addirittura… visto! »

Ferrini ha marcato Sivori. Ed era la marcatura-base della partita. La marcatura giusta,
tradizionale, anche se un po’ rischiosa sotto il profilo psicologico e… arbitrale! Rocco sapeva che,
giocando Bean, la regia sarebbe piombata automaticamente tra le gambe di Omar Sivori: sapeva che
da Omar sarebbero partite otto palle si dieci per le punte. Marcatura giusta, duello giusto. Risultato:
un buon Ferrini, un ottimo Sivori. Allora perché il Napoli non è riuscito a passare oltre la linea di
Vieri?

Il naufragio Bean

E’ stato un Napoli che forse ha sentito troppo la partita, un Napoli che ha accusato a dismisura il
peso dell’alta classifica, un Napoli che non è stato sciolto come sa esserlo quando gioca a
Fuorigrotta. Soprattutto l’attacco ha accusato questo scompenso, questo « obbligo » di segnare e di
vincere. Ma ha condizionato tutta la partita di Josè e compagni la giornata disastrosa sotto ogni
aspetto di Bean e l’assenza (per un tempo, il primo) di Canè. Con due ali che non sapevano vincere
un duello, che non si buttavano sugli inviti sivoriani, che non tentavano di usare il cross per
sconvolgere l’ordine della difesa torinese, veniva a mancare al Napoli la sua forza vera: la somma

del cervello-Omar più il piede-gol-Josè. Ogni volta l’azione partiva da un disimpegno della difesa,
ogni volta arrivava direttamente (o via Juliano) a Sivori, ogni volta l’« idolo in piena luce »
allargava o tentava il pescaggio al centro di Altafini.

E Altafini era solo, tanto solo da far stringere il cuore. « Solo » non numericamente, ma « solo »
di fatto. Gli scambi con Canè non riuscivano mai perché il negretto sembrava in stato tranquillante
quando arrivava sulla palla e, sulla sinistra, Bean impazziva con la sua zazzera inconfondibile, ma
non riusciva a farsi notare per nessun’altra ragione, né a centrocampo, né all’attacco. Bean è un
giocatore lunatico con il morale più fragile del cristallo. Se comincia bene è capace di fare grandi
cose, se comincia con difficoltà, se non gli riesce la « prima » cosa in modo da potersi autocaricare,
naufraga irrimediabilmente dal primo all’ultimo minuto. E’ stato questo naufragio che ha coinvolto
pesantemente tutto il gioco napoletano asfissiandolo dove più aveva bisogno di respiro (per
Altafini) e togliendogli dal cesto il più facile e il più importante dei canestri: quello che poteva
strappare di dosso alla squadra la paura di non farcela. E’ stato a circa metà del primo tempo. Ma
un’altra colossale palla-gol Bean se l’è mangiata al 77’: azione come sempre impostata indietro da
Sivori, fuggi fuggi generale sulle piste di Josè e tocco al centro, nel varco per Bean che arriva giusto
sulla palla, si sbilancia (forse sbilanciato al cinquanta per cento da qualcuno) e manca ancora Vieri
da pochissimi metri.

Vieri è stato il protagonista numero uno del secondo tempo granata: perfetto tra i pali e in uscita.
Coraggioso, tempista su ogni palla, sulle alte e a terra. Impegnato soprattutto sui tiri « lontani », ma
insidiosissimi di Canè che, dopo cinquanta minuti di pigra presenza in campo, aveva cominciato
finalmente a dare segni di vita. Ma allora Canè non era più marcato da un difensore vero, dal
terzino Fossati: quando si è svegliato, Canè aveva alle costole un’ala vera, un’ala come lui:
…Simoni! In questo scambio forzatissimo di consegne sta la chiave e il merito della partita del
Torino!

Contro l’Inter tutta l’intelaiatura di Rocco si era sgretolata. Nulla aveva più retto: il Torino era
ceduto soprattutto nel carattere, nella forza morale, nella volontà di combattere. Però le prima volta
avevamo visto un Torino-materasso. Contro il Napoli gli uomini di paron Nereo hanno cancellato
tutto. Hanno ritrovato il mordente, la forza, la tempra. E hanno ritrovato tutto ciò nelle condizioni
più difficili: giocando per settanta minuti circa in un evidente stato di inferiorità numerica. Dopo
venti minuti infatti, Fossati, in un contrasto laterale con Canè si fermava con una smorfia di dolore
afferrandosi la coscia destra, immobile. Rocco balzò in piedi e dovette aspettare il medico per
capire che da quel momento avrebbe giocato con un uomo in meno… in difesa e in attacco, perché
è chiaro che Simoni, con tutta la buona volontà che teneva in corpo, era soltanto un palliativo contro
quella che doveva essere sulla carta la terza punta terribile di Pesaola.

Settanta minuti in dieci, a Fuorigrotta, sono un’eternità. Un’eternità che il Torino ha accorciato e
ridotto alla fine a zero, perché ha mantenuto in difesa un ordine e una nitida scioltezza organizzativa
quasi favolosa.

Rosato, reduce dalle idi di Glasgow, non ha perso una battuta, è stato sempre ovunque, a destra e
soprattutto a sinistra (dalla parte di Simoni): ha fatto il libero fisso, rigido, rigidissimo e non ha
sbagliato nulla. Attorno a Rosato tutto si è svolto con organizzazione, senza orgasmo. Puia ha
neutralizzato Altafini, ma il merito non è tutto di Puia è anche di chi… non ha saputo dare ad
Altafini la possibilità di spezzare i vincoli di una difesa che quando è in giornata, e contro il Napoli
lo era, può anche regalare il vantaggio di un terzino. José era senza ali.

Omar Sivori avrebbe voluto la vittoria a tutti i costi: l’avrebbe voluta anche per ragioni-extra. Per
lanciare « commercialmente » il « suo » film, il film che in questi giorni tiene cartellone a Napoli

in anteprima, ma soprattutto per mantenere la scaramantica poltrona a due con il Mago Helenio
Herrera, in trasferta dall’altra parte del mare. La regia di Omar non ha portato alla vittoria. Perché
come il goleador Altafini soffriva di macroscopico isolamento al cento dell’attacco, così il cervello
di Sivori non aveva nemmeno un cervellino che funzionasse accanto a lui.

Juliano si è perduto nella marcatura di Bolchi e si è fatto vedere poco, troppo poco per coprire
una zona grande. Troppo poco anche perché, per la prima volta in campionato, il Napoli giocava
con una difesa di tutti difensori puri. Giocava Gatti: non giocava Ronzon. Ronzon è distrutto nel
morale… è accusato di colpe colossali, è accusato di manie offensivistiche, è accusato di essere
l’unico colpevole della disfatta di San Siro contro il Milan per non aver « tenuto » in alcun modo
Rivera (due gol!). Ronzon non poteva essere schierato: anche se lo avesse voluto Pesaola non ci
sarebbe stato lui. Un giocatore non è una macchina. Con quel morale Ronzon non ce l’avrebbe fatta
a infilarsi la maglia azzurra. Eppure, contro il Torino, a nostro avviso, era più che mai la partita
fatta su misura per Ronzon. Nardin sarebbe rimasto al suo posto, a sinistra, e Ronzon prima avrebbe
marcato Simoni. Poi, molto meglio di quello che hanno saputo fare Gatti e Nardin, avrebbe potuto
appoggiare il gioco di Sivori e quello di Altafini con cross che sono mancati al momento giusto sul
piede e sulla testa giusti. In ogni caso, Pesaola non poteva prevedere… lo strappo di Fossati!

Fiore bello

E il Napoli non è più in testa alla classifica, ma è secondo. Con il calendario d’apertura che ha già
superato di slancio è un grosso traguardo. « Forse abbiamo perso un punto – mi ha detto Fiore dopo
la partita – ma adesso dovranno scornare gli altri e speriamo che il Napoli possa raccogliere
qualcosa! Comunque siamo felici ugualmente: ma non vogliamo illuderci e non vogliamo illudere
nessuno. L’ho sempre detto e lo ripeto: dobbiamo andare avanti in umiltà, lottare in silenzio,
cercare di giocare e di ottenere sempre il massimo. Ma senza creare la psicosi del risultato, il mito
dello scudetto. Ho sempre detto di voler costruire un Napoli che duri: credo di aver intrapreso la
strada giusta. E la strada giusta non è quella dei parolai e di chi farebbe i salti di gioia per vederci
andare a fondo, la strada giusta è quella della serietà. L’anno scorso eravamo in B, non dobbiamo
dimenticarlo. E non dobbiamo dimenticare che abbiamo pareggiato contro il Torino sprecando
anche delle occasioni facili ». Occasioni facili sbagliate da Bean e occasioni non create o sfumate
proprio per la « psicosi del risultato ».

Roberto Fiore ha ragione. Ma è stata anche, per il Torino, la partita della paura. Paura che un
sconfitta cancellasse irrimediabilmente dalla classifica le speranze di Pianelli e di Rocco. Paura che
la febbre patita in questi giorni da Meroni potesse stroncare le gambe al « beatle ». Paura forse
anche del pubblico e del « clima » arbitrale, se è vero, come è vero, che Rocco, quando seppe che
avrebbe arbitrato Sbardella, sorridendo disse: « Lo avevo previsto da tre giorni: sono proprio bravo!
Bravo almeno quanto Giulini! ». Queste paure il Torino le ha superate tutte con orgoglio:
soprattutto quella di questo pubblico incandescente che a tratti è ammutolito non vedendo passare
alle spalle di Vieri almeno uno dei favolosi proiettili dei « Gemini Omar-Josè ». Un pubblico che,
nonostante la mezza amarezza del pareggio, alla fine ha fermato il presidente Fiore e gli ha urlato: «
Presidente: tu ‘ssi bello!!! ».

La pagella

Napoli 0

Bandoni 7
Nardin 6
Gatti 6
Stenti 7
Panzanato 6
Girardo 6
Canè 6
Juliano 5
Altafini 6
Sivori 8
Bean 4

Torino 0

Vieri 8
Poletti 7
Fossati n.c.
Puia 8
Rosato 8
Bolchi 7
Orlando 5
Ferrini 7
Meroni 6
Schutz 6
Simoni 5

Arbitro: Sbardella 7