1999 Referendum Voto sì, ma basta spot

1999 – Referendum – Voto si, ma basta spot

Referendari del “si” e anti- referendari del “no” lamentano in coro, anche se per ragioni opposte,
che non si parla abbastanza del voto del 18 Aprile! Ma si può sapere cosa pretendono i comitatoni in
servizio permanente effettivo?
Da anni discutono di riforma elettorale, pezzo forte del teatrino della politica. Da mesi si
susseguono le dichiarazioni di voto dopo mesi di parata per le firme. Da giorni non si riesce più a
vedere in santa pace un meteo o un tg senza che sul più bello non piombi in onda uno spot
elettorale: insomma, basta, si voti e morta là. Assai meno scemotti di quanto lasciano immaginare i
comitati di turno, gli italiani hanno capito tutto, anzi ne hanno abbastanza di “informazione” a
slogan e, semmai, sognano di venir dimenticati o, pardòn, “oscurati”.
A scanso di equivoci, e a titolo notoriamente personale, mi dichiaro subito: il18 Aprile andrò a
votare e voterò “si”. Ma confesso con altrettanta chiarezza di essere scandalizzato dall’ipocrisia dei
referendari che pur riceveranno il mio millesimale voto.
Costoro fanno capire che, se l’astensionismo di massa invaliderà il referendum, dipenderà in larga
parte dal complotto del silenzio.
E’ patetico soltanto pensarlo: l’astensionismo ha una lunga storia in Italia e quello dei nostri giorni si
poggia su motivazioni che capirebbe anche un bambino.
Erano astensionisti anche i nostri padri risorgimentali quando, fatta l’Italia, si andò per la prima
volta al voto. Votò soltanto il 54% del mezzo milione di aventi diritto in base ai 25 anni di età, al
titolo di studio superiore e alle 40 lire (lire del 1865) di imposte annue. Contro lo Stato liberale,
disertavano i cattolici; contro la monarchia, i mazziniani.
Dopo la liberazione di Venezia e di Roma, andò anche peggio, tanto che un leader dei moderati,
schifato “dall’inerzia” dei ceti possidenti, minacciò di punirli introducendo il suffragio universale.
Ma anche quando, a ridosso della prima guerra mondiale, Giolitti estese il voto a tutti i maschi, la
partecipazione elettorale restò modesta, tra il 58% e il 65%.
Il boom arrivò soltanto nel secondo dopoguerra, il 18 aprile del 1948, con il voto dato finalmente
colpito negli ultimi due anni. Più che astensionismo, andrebbe chiamato ripudio di massa, ed è un
impasto di scetticismo, di sconforto riformista, di sarcasmo diffuso.
Faccio un esempio. Quando Veltroni e Fini, all’unisono, promettono che un successo del referendum
influenzerà anche la imminente lezione del Capo dello Stato perché “ si crea la premessa per una
risposta da parte del Parlamento alla volontà popolare”, le risate rischiano di arrivare persino in
Kosovo. Come se il Parlamento non avesse già dimostrato più volte di ignorare o addirittura beffare
la “volontà popolare” dei referendum.
Fa più danni la pochezza del ceto politico che l’attuale, pessima e bastarda legge elettorale, e questo
Parlamento rappresenta alla perfezione il Paese che lo esprime. Non siamo un Paese compatto che
paga per uno sciagurato ceto politico diviso in cinquanta fazioni di partito, ma un Paese
iperframmentario che si manifesta per frammenti anche in Parlamento. Questo il guaio di fondo, che
nessuna legge elettorale potrà da sola guarire senza uno scatto di qualità e di responsabilità diffuse:
inutile prenderci per i fondelli.
Può andare bene il maggioritario, all’anglosassone; potrebbe andare anche il vecchio proporzionale,
sbarrato al 5%, alla tedesca. E’ però matematico che, se vogliamo almeno tentare di toglierci dai
piedi 40 fintipartiti su 50, va cancellato l’ibrido di oggi, né tutto maggioritario né coerentemente
proporzionale: la legge elettorale in vigore è democristiana fino all’osso, né di qua né di là,
sublimemente al centro.
Da parte mia, andrò a votare perché lo considero un dovere, e il dovere lo si fa anche quando, per
scarso entusiasmo, ti costa.
Come nel caso del finanziamento ai partiti, il Parlamento potrà forse vanificare il mio voto ma, se
vado al mare come amava Bettino Craxi, mi befferò di sicuro, con le mie stesse mani.
E poi, fin da ragazzo, ricordo la lezione di un professore, ispirato da un grande amore alla

Costituzione repubblicana. Nello spiegare che il referendum è valido soltanto se partecipa al voto il
cinquanta per cento più uno degli aventi diritto, concludeva: “ Quell’uno potresti essere tu”.
L’ho sempre preso in parola.